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Ricordo di Gino Raya nel 27° della scomparsa.

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Ricordo di Gino Raya nel 27° della scomparsa.

COFFA 1  2011

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Nel ricordo del nostro Maestro prof. Gino Raya, con l’Amico studioso prof. Paolo Anelli, abbiamo pregato Leonardo Speranza di voler  riflettere sul pensiero di Gino Raya, scomparso a Roma il 2 Dicembre 1987 . Biagio Iacono

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I “VINTI” DI RAYA, O IL DETERMINISMO DELLA FAME

  di Leonardo Speranza

   Frontespizio del libro di Gino Raya, Tre vinti (1976). 

                                                    Frontespizio dei Tre vinti (1976), i tre romanzi di Raya scritti a completamento del ciclo verghiano.

 I brevi romanzi che Gino Raya (1906-1987) pubblica con il titolo complessivo Tre vinti (1973 e 1976) rivelano come il grande studioso siciliano abbia saputo convertire la sua passione critica per Giovanni Verga (1840-1922) in passione creativa, affrontando l’ambizioso progetto di portare a termine il “ciclo dei vinti” (con La duchessa di Leyra, L’onorevole Scipioni, L’uomo di lusso), ciclo del quale il maestro del Verismo, come è noto, ha realizzato solo i due capolavori iniziali (I Malavoglia, 1881, e Mastro don Gesualdo, 1889). Raya si confronta, da par suo, con le dichiarazioni d’intenti e gli scarni appunti preparatori lasciati dal suo conterraneo, e riprende in mano le prime pagine originali della Duchessa di Leyra, per dare vita a una narrazione che si configura come “omaggio”, “innesto” e “raccolta di testimone” nei confronti di Verga (operazioni, queste, enfatizzate nella Duchessa dalla presenza di Gesualdo Motta e dalla citazione delle parti più drammatiche della novella Libertà). 

GIOVANNI VERGA
GIOVANNI VERGA

 

Sebbene Raya si ponga di fronte al grande verista, in questo e in altri casi, come di fronte a un mentore, i Tre vinti non sono semplicemente un’operazione di scrittura “alla maniera di”, ma una rielaborazione della poetica verghiana in chiave molto personale. Ciò emerge, in primo luogo, nella marcata impostazione storica dei Tre vinti, che tralasciano le dettagliate descrizioni della vita quotidiana tipiche del verismo verghiano, per privilegiare una narrazione più sintetica ed ellittica, nella quale i dettagli risultano ridotti al minimo, spogliati di lirismo e selezionati in base alla loro capacità di rappresentare una condizione sociale o un impulso psicologico.

RAYA Fiera letteraria

                                                                      Gino Raya, da “La Fiera letteraria”, 16 feb. 1967.

 Raya, dunque, appare come uno scrittore più neorealista che neoverista, e uno scrittore che crede che il germe morale di una società sia custodito dalla sua storia. Ebbene, egli non si riconcilia con la storia d’Italia e dedica la sua opera a dimostrare il costante naufragio degli ideali socio-politici e l’onnipresenza degli intrecci clientelari, fenomeni che Raya, nella sua amplissima produzione saggistica e giornalistica, non si è mai stancato di denunciare, pagandone lo scotto fino in fondo.

SILENZIO FARFALLE

 

Frontespizio del libro di  Paolo Anelli

Il silenzio delle farfalle infilzate (1991).

 Al determinismo ambientale, mai rigido, di Giovanni Verga si sostituisce, nei Tre vinti, un determinismo metastorico intriso di sarcasmo e disillusione, che assume, a tratti, i toni di un lucido cinismo. Lo potremmo definire il “determinismo della fame”, intorno al quale l’intellettuale di Mineo ha elaborato un vero e proprio orientamento filosofico, il “famismo” appunto, che vuole che le scelte di vita dell’uomo siano proiezioni, su differenti livelli, del suo appetito biologico.

Frontespizio del volume: G. Raya, La fame - filosofia senza maiuscole. La prima edizione è del 1961. L'immagine in copertina rappresenta una mantide religiosa.Frontespizio del libro di Gino Raya

La fame – filosofia senza maiuscole (1974, I ed. 1961).

STORIA FAMISMO cop.

 

 

Frontespizio di

Prestoria del famismo (1975)

di Domenico Cicciò  e

Pasquale Licciardello

 

 

 

È l’istinto di delimitare il territorio in cui sfamarsi che rende inquieta e volubile Isabella di Leyra e fa sì che gli altri due protagonisti di questa saga familiare, Scipione Scipioni e suo figlio Regolo, dimentichino la loro vocazione di “difensori del popolo” in nome di interessi individuali e di casta. Ne L’Onorevole Scipioni è presente un passo che evoca in modo esemplare, tramite un dialogo di “pedagogia politica famista” tra padre e figlio, il contagio di questo trasformismo interiore:

– Perché no, papà, hai ancora tante cose da insegnarmi. Ritieni, per esempio, che dobbiamo essere grati a Giolitti per la riforma elettorale, e insomma per il suffragio universale?

Dobbiamo: chi, noi italiani, o noi politici? Tutte le legislature, se ci badi bene, sono d’accordo su di una cosa sola: fare gl’interessi della casta politica, spacciandoli come interessi della nazione. E allora: più sono i votanti, e più siamo noi deputati. Vedrai che, col tempo, potranno votare anche le donne e i neonati, perché la “persona umana” possiede tutti i “diritti” fin dal grembo materno.

Regolo si versa da bere: – Non avevo mai pensato a questi retroscena.

– È una legge di natura, figlio mio, che chi mangia vuol mangiare sempre di più. I politici devono pure coonestarla, questa legge di natura, secondo gli schemi democratici che prevalgono; e allora fingono di riconoscere diritti del popolo mentre, in realtà, non provvedono che alla loro greppia. Tu sei giovane, e ne avrai certamente altre prove. Chissà, per esempio, che un bel giorno non spunti fuori un Parlamento per ogni regione: pensa che pacchia, tutti i partiti avranno le colonie ufficiali a Milano, a Napoli, a Palermo, tutti i deputati potranno sperare di sistemare come deputatini figli generi e tirapiedi…

– Mi parrebbe anche logico, papà, che ogni deputato avesse uno studio a sua disposizione, una segreteria pagata dallo stato, una vettura…

– Vedi come ti orienti presto? Per ora, magari, scherzando, ma l’appetito vien mangiando, almeno a voi giovani. Io, vedi, ho terminato di pranzare dopo questa pastasciutta…

Regolo riaccompagnò a casa il padre, poi prese una botticella per rientrare in albergo. I discorsi del vecchio gli frullavano in testa come rimescolati dal trotterello lungo via Nazionale. Non li respingeva né li assorbiva […]       (G. RAYA, Tre vinti, Roma, La Fiera Letteraria, 1976, pp. 229-30)

FAMISMO  di Licciardello

 Frontespizio del libro di Pasquale Licciardello    Il famismo nella cultura contemporanea (1974).

 L’arco narrativo dei Tre vinti può essere visto, in effetti, come un insieme di variazioni su pochi moduli tematici e psicologici, riconducibili ai concetti di tradimento (verso se stessi, gli altri, le idee che contemplano una collettività) e di assunzione di un opportunistico “doppio volto”. È principalmente tale propensione all’instabilità e alla corruzione morale che rende i personaggi rayani dei “vinti”. Il loro scacco esistenziale, infatti, è suggellato dal suicidio dell’ultimo dei tre, un dandy della politica che naufraga nella Roma del fascismo inoltrato come se fosse il protagonista di uno dei romanzi “mondani” di Verga, ma svuotato di qualsiasi passionalità.

Binomio Verga Raya

  Articolo di Luigi Volpicelli,

in “Biologia culturale”  sett. 1975, già ne “La Fiera letteraria” 13 lug. 1975.

L’ottica bio-culturale rayana si incontra in pieno con quello che è stato definito il pessimismo storico del Verga di Mastro don Gesualdo e Dal tuo al mio (opera teatrale e poi narrativa definita da molti reazionaria, ma una categoria del genere non può di certo essere applicata al disincanto radicale di Raya), acquisendo connotati, se è possibile, ancora più foschi, in quanto nei Tre vinti la brama di prevaricazione trova un suo corrispettivo icastico e provocatorio nelle perversioni sessuali, che vengono descritte in dettaglio (sono gli anni in cui l’erotismo si emancipa definitivamente in letteratura), poiché devono risultare tanto sgradevoli quanto i significati politici che veicolano; non a caso, esse sconfinano più volte nella pederastia, emblema trasparente di abuso del “forte” sul “debole” o l’ “ingenuo”.

 TEMPIO RAYA VERGA

 Articolo di Antonio Aniante in “Biologia culturale” dic. 1976,

 già ne “L’osservatore politico letterario” mag. 1976.

      Il riproporsi modulare di una medesima parabola di degradazione, e l’esigenza dell’autore di conferire alle vicende una dimensione corale che rispecchi l’ispirazione originaria delle saghe del Naturalismo, del Verismo e, in generale, della letteratura meridionalistica (si pensi anche a I vecchi e i giovani di Pirandello), provocano a volte un’eccessiva parcellizzazione dell’impianto narrativo. I personaggi, che a volte sono le figure-chiave delle fasi storiche che l’autore ricostruisce, non possiedono un vero e proprio respiro, poiché sono privati di uno spazio psicologico autonomo e appartengono a frammenti di eventi non autentici, che la voce narrante inquadra con una prospettiva costantemente sarcastica e grottesca e, quindi, solo parzialmente oggettiva – nonostante l’abbondante utilizzo del discorso indiretto libero. A motivo di ciò, i Tre vinti rivelano, spesso, una struttura romanzesca fragile o monocorde, priva di scene-madri drammatiche o intense, ma per questo idonea a veicolare la visione rayana della storia d’Italia, una storia in cui l’epos della lotta politica si risolve sempre nella farsa di uno sbiadito opportunismo, che nega, tragicamente, una redenzione agli ingiusti patimenti dei molti.

        Leonardo  Speranza

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                                 LEONARDO SPERANZA è nato a Spoleto nel 1973. Dopo essersi laureato in Lettere con una tesi su Tommaso Landolfi, ha intrapreso la professione di docente, che attualmente svolge nel Liceo “Pieralli” di Perugia. Ama scrivere opere narrative, poetiche e critiche: ha pubblicato due romanzi “del mistero” (Chiarimenti sotterranei e In mezzo alla strada insanguinata) e testi saggistici di breve e media lunghezza, nei quali ha analizzato autori e generi letterari prestando attenzione alle valenze simbolico-metaforiche del linguaggio. In particolare, per il Centrum Latinitatis Europae ha elaborato un confronto stilistico tra i testi di San Francesco e Sant’Ignazio; per l’Associazione “Amici di Aldo Capitini” ha esplorato gli aspetti visionari delle liriche del filosofo perugino.

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