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Carlo Diano, la Sicilia ed Atene.

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Carlo Diano, la Sicilia ed Atene.

 CARLO DIANO E LA SICILIA. LA SICILIA E ATENE.

 Una terra tra sogno e tragedia.

 Gorgia di Lentini fautore della spedizione ateniese del 427 a.C.

di  Simone Pizziconi

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                                                                                                       Caro Direttore,

CARLO DIANO Carlo Diano (Vibo Valentia 1902 – Padova 1974), insigne grecista, qui nella foto tratta da Saggezza e poetiche degli antichi (1968), fu amico fraterno del filosofo e poeta netino Corrado Curcio (Noto 1903-1981).Questa foto, e questo articolo di Simone Pizziconi, che è stato mio alunno nel Liceo Classico “Properzio” di Assisi, dove ha conseguito la maturità classica presentando una tesina su Forma ed evento di Diano, mi ricordano le mirabili lezioni di filosofia greca del mio Maestro al Liviano di Padova, e, nel contempo, il nome di Corrado Curcio, molto caro anche a Te, richiama la lunga amicizia che mio padre, Francesco Anelli (1898-1986), coltivò con entrambi, Curcio e Diano, suoi compagni d’Università a Roma negli anni ’20.    Paolo Anelli

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  << Il senso dell’essere che guidò come un istinto Gorgia, è per eccellenza proprio della Sicilia. Da esso nasce il prodigioso senso del colore e tutto quel che di magico e d’irreale è nella sua arte. Nell’antichità creò la commedia. Era riserbato ai tempi nostri che esso si esprimesse come tragedia: una tragedia chiusa e senz’esito, che come confine ha il nulla, la tragedia che è al fondo dell’arte di un Verga, di un Pirandello, di Tomasi di Lampedusa, come struttura stessa dell’esistenza, indipendente dall’azione, e però senza salvezza.>>  Così si conclude Il contributo siceliota alla storia del pensiero greco di Carlo Diano[1], con i nomi di tre autori della letteratura novecentesca che celano nel tessuto delle loro opere la tragedia come struttura del reale.

Interessante è osservare come questa tragedia si declini nei tre siciliani.

Bibl verghianaIn Verga essa è rappresentata dal fallimento del “Ciclo dei vinti”, interrotto, e soprattutto dall’addio di ‘Ntoni Malavoglia al villaggio di Aci Trezza: Allora ‘Ntoni si fermò in mezzo alla strada a guardare il paese tutto nero, come non gli bastasse il cuore di staccarsene, adesso che sapeva ogni cosa, e sedette sul muricciuolo della vigna di massaro Filippo […] Tornò a guardare il mare, che s’era fatto amaranto, tutto seminato di barche che avevano cominciato la loro giornata anche loro, riprese la sua sporta, e disse: – Ora è tempo d’andarsene, perché fra poco comincerà a passar gente”. Simbolo del fallimento del tessuto sociale di un’intera terra.

In Pirandello l’intera concezione dell’umorismo e del teatro si vela di tragica commiserazione verso l’inettitudine dell’uomo: emblematica è la battuta di chiusura della non famosissima rappresentazione intitolata Sagra del Signore della Nave (1924) in cui il personaggio del pedagogo, notando come l’uomo gozzovigliando sia divenuto simile alle bestie, esclama: “vuole una tragedia più tragedia di questa?”.                                 Tomasi di Lampedusa infine è forse l’emblema di una Sicilia vissuta con nostalgia, delusione e amore profondo, un amore per il fascinoso passato quanto per il “magico e irreale” di questa terra: << Tutte le manifestazioni siciliane sono manifestazioni oniriche, anche le più violente: la nostra sensualità è desiderio di oblio, le schioppettate e le coltellate nostre, desiderio di morte […] le novità ci attraggono soltanto quando sono defunte, incapaci di dar luogo a correnti vitali; da ciò l’incredibile fenomeno della formazione attuale di miti che sarebbero venerabili se fossero antichi sul serio, ma che non sono altro che sinistri tentativi di rituffarsi in un passato che ci attrae soltanto perché è morto.>>

Questo breve ma intenso excursus dell’esperienza letteraria siciliana consente proprio di rituffarsi nel passato, mettendo in relazione la modernità con la storia del pensiero filosofico sviluppatosi in Sicilia e nella Magna Grecia. Ecco allora Pitagora, Parmenide, Empedocle, e infine Gorgia, colui che scrisse “Sul non essere o della Natura”, un trattato che, “stando a Sesto Empirico, si articolava in tre tesi: «primo, che nulla è: secondo, che, se anche è, è in conoscibile all’uomo: terzo, che, se anche è conoscibile, non è profferibile né comunicabile» (Diano 1968, 297). Per Platone, come per i contemporanei, Gorgia è uno dei massimi esponenti della sofistica, più propriamente dell’eristica, con l’imponente velo di critica (socratica) che questa definizione serba nei confronti del nichilismo (o delle sue anticipazioni più o meno codificate) e della retorica come arte del persuadere, cui sottende, in fin dei conti, il relativismo etico.

Diano ci chiarifica quanto si debba a Gorgia nell’ambito filosofico, ma per avvicinarsi maggiormente al ruolo che Gorgia giocò in vita come massimo rappresentante “internazionale” del “senso dell’essere per eccellenza proprio della Sicilia”, sarà bene considerarlo per il contributo alla storia greca, non solo a quella del pensiero greco, nel ruolo di ambasciatore celebre proveniente da Leontini (colonia di Calcide) che nel 427 a.C. giunge ad Atene, anch’essa città di ceppo ionico, per convincere gli Ateniesi ad allearsi[2] con i Leontinesi contro i Siracusani: << …ἦν δὲ τῶν ἀπεσταλμένων ἀρχιπερεσβευτὴς Γοργίας ὁ ῥήτωρ, δεινότητι λόγου πολὺ προέχων πάντων τῶν καθ´ ἑαυτόν. οὗτος καὶ τέχνας ῥητορικὰς πρῶτος ἐξεῦρε καὶ κατὰ τὴν σοφιστείαν τοσοῦτο τοὺς ἄλλους ὑπερέβαλεν, ὥστε μισθὸν λαμβάνειν παρὰ τῶν μαθητῶν μνᾶς ἑκατόν. οὗτος οὖν καταντήσας εἰς τὰς Ἀθήνας καὶ παραχθεὶς εἰς τὸν δῆμον διελέχθη τοῖς Ἀθηναίοις περὶ τῆς συμμαχίας, καὶ τῷ ξενίζοντι τῆς λέξεως ἐξέπληξε τοὺς Ἀθηναίους ὄντας εὐφυεῖς καὶ φιλολόγους. >>(Diodoro Siculo, Biblioteca Historica, 12, 53-4)

SBARCO 1Leader dell’ambasciata era il retore Gorgia, che nell’eloquenza superava di gran lunga tutti i suoi contemporanei. Egli fu il primo uomo a inventare le regole della retorica e fin ad allora eccelleva su tutti gli altri uomini nell’istruzione offerta ai sofisti tanto che riceveva dai suoi allievi un compenso di cento mine. Ora, quando Gorgia era arrivato ad Atene ed era stato condotto dalla gente in assemblea, parlò con loro dell’alleanza, e per la novità del suo discorso riempì di meraviglia gli Ateniesi, che sono per natura intelligenti e appassionati di dialettica.

La meraviglia con cui Gorgia riempie gli ateniesi (ἐξέπληξε τοὺς Ἀθηναίους) è data dal fatto che il suo discorso contiene figure retoriche come l’antitesi, il parallelismo e l’omoteleuto, all’epoca considerate dal fascino esotico, tutto siciliano, quasi “magico ed irreale”, come direbbe Diano. È necessario ricordare che il celebre retore Isocrate, ateniese, fu allievo di Gorgia[3] in Tessaglia e l’incontro con questo maestro fu decisivo per la scuola di retorica che egli fonderà, infatti le “caratteristiche della sua personalità, trovarono al contatto con Gorgia il modo di concertarsi con l’amore per l’eloquenza e la bella prosa. Da quel tempo Isocrate vedrà nella stessa retorica la filosofia.” (Fornasiero, 5). Proprio la maestria del sofista di Lentini, unita al “sogno siciliano” che gli Ateniesi coltivavano da tempo, consentirà a Gorgia di convincerli ad allearsi: <<… τέλος δὲ πείσας τοὺς Ἀθηναίους συμμαχῆσαι τοῖς Λεοντίνοις, οὗτος μὲν θαυμασθεὶς ἐν ταῖς Ἀθήναις ἐπὶ τέχνῃ ῥητορικῇ τὴν εἰς Λεοντίνους ἐπάνοδον ἐποιήσατο. Ἀθηναῖοι δὲ καὶ πάλαι μὲν ἦσαν ἐπιθυμηταὶ τῆς Σικελίας διὰ τὴν ἀρετὴν τῆς χώρας, καὶ τότε δ´ ἀσμένως προσδεξάμενοι τοὺς τοῦ Γοργίου λόγους ἐψηφίσαντο συμμαχίαν ἐκπέμπειν τοῖς Λεοντίνοις, πρόφασιν μὲν φέροντες τὴν τῶν συγγενῶν χρείαν καὶ δέησιν, τῇ δ´ ἀληθείᾳ τὴν νῆσον σπεύδοντες κατακτήσασθαι. >>(Diodoro Siculo, Biblioteca Historica, 12, 53-4) Alla fine convinse gli ateniesi ad un’alleanza con i Leontinesi, e dopo essere stato ammirato ad Atene per la sua abilità retorica fece ritorno a Leontini. Da qualche tempo gli ateniesi erano stati desiderosi della Sicilia a causa della fertilità della sua terra, quindi in quel momento, accettando volentieri le proposte di Gorgia, votarono per inviare una forza alleata ai Leontinesi, offrendo come scusa il bisogno e la richiesta dei loro consanguinei, mentre in realtà erano desiderosi di ottenere il possesso dell’isola.

Dopo questo accordo, una prima spedizione in Sicilia in aiuto ai Leontinesi fu guidata da Feace, uomo vicino a Nicia, nel 427, e durò fino alla pace di Gela, del 424. Questa spedizione, spesso dimenticata o chiamata soltanto “Guerra di Leontini” ebbe un preciso scopo, ribadito anche da Tucidide: << …δὲ μήτε σῖτον ἐς τὴν Πελοπόννησον ἄγεσθαι αὐτόθεν πρόπειράν τε ποιούμενοιεἰ σφίσι δυνατὰ εἴη τὰ ἐν τῇ Σικελίᾳ πράγματα ὑποχείρια γενέσθαι.>> (Tucidide, III, 86, 4) Interrompere il trasporto del grano da quei paesi al Peloponneso e gettare in quel modo le premesse per un’eventuale futura ingerenza in Sicilia.

Il ruolo di Gorgia nel convincere[4] gli ateniesi all’intervento nel 427 è dunque cruciale anche in relazione alla seconda e più famosa spedizione in Sicilia, quella che porterà Atene alla disfatta del 413 a.C. Questo secondo “contributo siceliota” alla storia del mondo greco non è piccolo: dopo la caduta di Atene alla fine della cosiddetta Guerra del Peloponneso, nulla sarà più come prima. Si potrebbe dire che la Sicilia, resa fertile di grecità, abbia deciso le sorti del mondo greco. Si può ben concludere ricordando Alcibiade e il sogno ad occhi aperti che egli propose ai giovani ateniesi: << … Σικελίας δὲ καὶ Περικλέους ἔτι ζῶντος ἐπεθύμουν Ἀθηναῖοι, καὶτελευτήσαντος ἥπτοντο, καὶ τὰς λεγομένας βοηθείας καὶ συμμαχίας ἔπεμπον ἑκάστοτε τοῖς ἀδικουμένοις ὑπὸ Συρακουσίων ἐπιβάθρας τῆςμείζονος στρατείας τιθέντες. ὁ δὲ παντάπασι τὸν ἔρωτα τοῦτον ἀναφλέξας αὐτῶν, καὶ πείσας μὴ κατὰ μέρος μηδὲ κατὰ μικρόν, ἀλλὰ μεγάλῳ στόλῳ πλεύσαντας ἐπιχειρεῖν καὶ καταστρέφεσθαι τὴν νῆσον, Ἀλκιβιάδης ἦν,τόν τε δῆμον μεγάλα πείσας ἐλπίζειν […] καὶ τοὺς μὲν νέους αὐτόθεν εἶχεν ἤδη ταῖς ἐλπίσιν ἐπηρμένους, τῶν δὲ πρεσβυτέρων ἠκροῶντο πολλὰ θαυμάσια περὶ τῆς στρατείας περαινόντων, ὥστε πολλοὺς ἐν ταῖς παλαίστραις καὶ τοῖς ἡμικυκλίοις καθέζεσθαι τῆς τε νήσου τὸ σχῆμα καὶ θέσιν Λιβύης καὶ Καρχηδόνος ὑπογράφοντας. >>(Plutarco, Vita di Alcibiade, 17, 1-3)

Mentre ancora Pericle era vivo, gli Ateniesi ambivano alla Sicilia, ma solo alla sua morte decisero di avviare l’impresa. Ogni volta che qualche città subiva un’ingiustizia da parte dei Siracusani, inviavano i cosiddetti aiuti e concludevano dei patti d’amicizia, creando così i presupposti per una vera e propria spedizione militare. Chi assecondava con ogni mezzo questo loro desiderio e li esortava a non agire gradualmente, un passo dopo l’altro, ma a mettere in mare una potente flotta con cui attaccare e saccheggiare l’isola, era proprio Alcibiade. Egli incoraggiò il popolo a nutrire grandi speranze […] E i giovani si lasciarono subito esaltare dalle grandi speranze, poiché ascoltavano dai vecchi cose mirabili sulla spedizione in corso, al punto che erano in molti, seduti nelle palestre e negli anfiteatri, a tracciare sul terreno la forma dell’isola e la posizione della Libia e di Cartagine.

Le cose mirabili (πολλὰ θαυμάσια) raccontate dagli anziani potrebbero proprio essere il “prodigioso senso del colore” e il “magico e irreale” della Sicilia, una terra vicina alla penisola italiana e al tempo stesso affacciata sugli imperi del Nord Africa. Ancora oggi la Sicilia è al centro dei sogni di molti uomini: sono i migranti dei moderni stati nordafricani, devastati dalle guerre. “«Terra!», negli occhi dei migranti il sogno di una vita nuova” è il titolo di una Fotogallery de “La Stampa” che mostra gli sguardi di tanti altri giovani, che, non più come colonizzatori ma come colonizzati, intraprendono un viaggio verso la Sicilia, forse “il” viaggio verso la Sicilia, quella terra cullata dal mare, culla di una civiltà tragica e destinata ad accogliere nuove storie di tragedia, ma festosa e sapiente al tempo stesso.

Simone Pizziconi

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 RISORSE BIBLIOGRAFICHE E SITOGRAFICHE: Per tutti i testi greci citati si fa riferimento alle edizioni critiche presenti sul sito http://www.perseus.tufts.edu/hopper/. Per le Inscriptiones Grecae si fa riferimento alle edizioni presenti sul sito http://epigraphy.packhum.org/inscriptions/. Le traduzioni sono ad opera dell’autore. Saggi e strumenti: Diano Carlo, Saggezza e poetiche degli antichi, Neri Pozza, Vicenza, 1968. Fornasiero Patrizia, Τοũ λóγου παíδευσις, Canova, Treviso, 2002. Pirandello Luigi, Maschere nude, a cura di Alessandro D’Amico, Arnoldo Mondadori editore, I Meridiani vol. III, Milano, 2004. «Terra!», negli occhi dei migranti il sogno di una vita nuova, Fotogallery de “La Stampa”, Torino, 22 aprile 2015. Tomasi di Lampedusa Giuseppe, Il gattopardo, Feltrinelli, Milano, 2005. Verga Giovanni, I Malavoglia, a cura di Guglielmino Salvatore, Principato, Milano, 1985. –  © 2015 Simone Pizziconi. Tutti i diritti riservati.


[1] Diano, Saggezza e poetiche degli antichi, 1968, 289-301.

[2] Questa alleanza, insieme a quella con Reggio, è confermata dal frammento I3 53-54 del corpus delle Inscriptiones Grecae.

[3] Isocrate stesso ricorda Gorgia in Encomio di Elena, 3 come “τὸν τολμήσαντα λέγειν ὡς οὐδὲν τῶν ὄντων ἔστιν” (Colui che osò dire che nulla delle cose che esistono è). Plutarco conferma la notizia dell’apprendistato di Isocrate presso Gorgia nell’incipit della Vita di Isocrate.

[4] Da Gorgia ancora Isocrate prese la concezione del linguaggio “come organo di persuasione che, adoperato con arte, porta l’uditore a credere e a fare ciò che l’oratore vuole”. Cfr. Fornasiero, 5.

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