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Noto: – Riflessioni su “Centina”di C. Papa a cura di B. Iacono.

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Noto: – Riflessioni su “Centina”di C. Papa a cura di B. Iacono.

RIFLESSIONI  su “CENTINA” di Corrado Papa

a cura di Biagio Iacono per la Sicula Editrice-Netum

di  Angelo Fortuna

 Gustav Mahler (Kalischt7 luglio 1860 – Vienna18 maggio 1911), ottimo compositore e direttore d’orchestra austriaco, innovatore di genio, ma sempre nel rispetto della lezione dei grandi del passato, interrogato sul ruolo della tradizione nella società del proprio tempo, nella cultura e non solo nel campo musicale in cui eccelleva, fu categorico nella seguente affermazione, divenuta proverbiale, quasi una sentenza, un aforisma, un concentrato di saggezza: “La tradizione è custodire il fuoco, non adorare le ceneri”.

Posta in esergo e anche al cuore del nostro incontro sulla poesia di Corrado Papa, questa massima di Malher si rivela particolarmente idonea per consentirci di entrare nel suo mondo poetico, che è impregnato di tradizione netina nel linguaggio adottato, nelle tematiche, nei modi di pensare e di manifestarsi, nella scrittura poetica. Il tutto irrorato e potenziato dal suo spirito di osservazione dell’ambiente sociale e umano che lo circonda e dalla sua inclinazione naturale  per la satira, che nei suoi versi si manifesta correttamente come pacata ironia lontana dallo scherno e dall’invettiva irrispettosa.CENTINA cop.image

Sembrerebbe naturale, in un primo momento, far riferimento allo spirito fescennino nel constatare quanto irresistibile è, di fatto, in lui il richiamo della satira. Precisando però che della satira di marca fescennina, manca – ed è ai miei occhi un titolo di merito – l’eccesso corrosivo, a parte qualche eccezione in cui il controllo della ragione, trattandosi di poesia che dà spazio alle emozioni dell’animo, si fa momentaneamente da parte. Per quanto riguarda poi l’espressione poetica, Corrado Papa rifugge in genere dal ricorrere a terminologia sboccata o licenziosa, come avviene in tanta poesia popolaresca, spesso volutamente volgare. Il suo tocco comico è leggero, a volte pungente, ma senza esagerazioni.

Resiste comunque in lui il carattere comico-moralistico che si estende poi all’ironia mordace verso aspetti o personaggi tipici del mondo netino soprattutto di ieri. Occorre precisare che “Centina” ha un sottotitolo che serve a metterci in situazione, Poesie notigiane del Novecento. Il che significa che le sue sottolineature, circa certi vizietti netini di parlare male della propria città, sono appunto riferiti alla Noto del Novecento, alla Noto del degrado che, oggi, è per fortuna, solo un cattivo ricordo. Non manca in questi casi la tentazione dell’invettiva sferzante che, però, in virtù del richiamo della comicità, raramente si fa caustica. Proprio per queste caratteristiche, evidenzierei la sua tendenza, ancor più che satirica, umoristica, nella misura in cui Corrado Papa è attratto da aspetti curiosi, incongruenti, divertenti, atti a suscitare ilarità con umana partecipazione e perfino simpatia.

Passando alla lingua adottata, è facile osservare come il Nostro abbia utilizzato il più stretto vernacolo netino, il che, ad una persona come me, che con le lingue e le parlate locali si diletta e la cui lingua madre è il dialetto avolese, offre molto più di un simpatico godimento e di un sorriso aperto alla fraterna comprensione.  L’attenta lettura di “Centina” è sufficiente per metterci nella condizione di scoprire, almeno in parte, come storicamente si sono svolti i fatti linguistici e culturali che, a distanza di pochissimi chilometri, hanno dato vita a due parlate molto dissimili soprattutto a livello di intonazione; meno a livello lessicale. A parte il fatto che Avola insieme a Noto rappresenta linguisticamente la soglia dove il “cchiù” siracusano passa a “ciù” e “a chiavi appizzata o chiovu” diviene “a ciavi appizzata o ciovu”, si rimane impressionati dal fatto che ad Avola le dittongazioni sono ridotte ai minimi termini, mentre a Noto abbondano oltre misura, al punto che la stessa capitale del barocco viene chiamata dai suoi cittadini “Nuotu”. Proprio dal punto di vista delle dittongazioni – suggerisco tale ipotesi per una maggiore verosimiglianza della rappresentazione – si potrebbe dire che il dialetto avolese sta all’italiano, come quello netino allo spagnolo, che, come sappiamo, è molto più contrassegnato dalle dittongazioni rispetto alla nostra amata lingua italiana. Basti pensare a fuego, tiempo, puerta, muerte, piedra, fuerza, fuerte, valiente, viviente, descubierta, reciente, fiesta, abierto, cubierta, nuestro, vuestro, vuelta, vuelo, siempre ecc.

Corrado Papa e il Sindaco di Noto, dott. Corrado Bonfanti.

Corrado Papa e il Sindaco di Noto, dott. Corrado Bonfanti.

Non saprei proprio dire se e quanto la più significativa presenza spagnola a Noto nel passato rispetto ad Avola abbia potuto contribuire a determinare queste differenze. Diciamo solo che è un fatto che è più facile osservare che spiegare. Esula da queste considerazioni – è bene essere chiari in ciò – ogni suggestione o sciocca presunzione di superiorità dell’una o dell’altra lingua, dell’uno o dell’altro dialetto. Linguisticamente, considerazioni di questo tipo sono prive di senso. Se dobbiamo credere al filosofo Louis de Bonald (1754 – 1840), la parola, verbum, la lingua, è l’attributo più elevato dell’uomo. La parola è, nel suo sistema filosofico, dono di Dio, strumento per manifestare il pensiero e la conoscenza. Bonald si esprime con una immagine: il pensiero è il sole, mentre la parola è la luce che esso emana. I linguisti moderni, a partire da Ferdinand de Saussure, pur partendo da dati empirici, in fondo pervengono allo stesso risultato; inoltre, affermano che dare giudizi di valore sulle lingue è incongruo. È molto più utile analizzarle e conoscerle.

Ciò detto, a proposito di “Centina”, e solo per sottolineare la ricchezza espressiva di Corrado Papa, evidenzierei, a partire dalle dittongazioni di cui è ricco il dialetto netino, alcuni termini estrapolati dal testo, facendoli seguire dai termini corrispondenti nella parlata avolese e poi da quelli della lingua italiana. Partirei proprio dal nome della città barocca che a Noto, come già rilevato, fa Nuotu, mentre per gli avolesi è Notu. Fin dal primo verso della lirica di esordio “Cillitta ra stazioni”, notiamo la presenza delle dittongazioni tipiche del vernacolo netino a partire dalla parola “Munumienti” (U mo paisi è cinu i munumienti), là dove ad Avola abbiamo “monumenti”. Possiamo ora continuare velocemente con qualche altro esempio a ruota libera: cummientu   –   cummentu   –   convento/sientu   –   sentu   –   sento/puoi    –   poi    –   poi/‘ncuoddu –  ‘ncoddu   –   addosso/suou   –   sou    suo/varivieri   –   variveri   –   barbieri/‘ncuontri appuoi – ‘ncontri   appoi –   incontri poi/arrieri   –   arreri   –   dietro/puozzu   –   pozzu   –   posso/tiempi   –   tempi   – tempi/siemu   –   semu   –   siamo/‘gnuornu   –   ‘ngnornu   –  un giorno/mmiernu   –   mmernu    –   inverno/castieddu   –   casteddu    –   castello/miegghiu   –    megghiu    –   meglio/vinniemu   –   vinnemu   –   vendiamo/a muoddu   –   a moddu    –   a mollo/ti vuoiu beni  – ti vogghiu beni   –   ti voglio bene.

Corrado Fianchino,Enzo Papa, Angelo Fortuna, Costantino Guastella e Corrado Marescalco.

Corrado Fianchino, Enzo Papa, Angelo Fortuna,       Costantino Guastella e Corrado Marescalco.

I suddetti 20 esempi sono tratti dalle prime tre poesie, da pag. 13 a pag. 15. Considerato che le poesie prendono 126 pagine, le dittongazioni complessive adoperate da Corrado Papa non sono inferiori a 750. E’ questo un segno evidente di come le dittongazioni siano una caratteristica emergente della parlata netina. La quale, è questo il punto, sembra fatta apposta per favorire l’ispirazione di Corrado Papa che, grazie all’uso molto comune delle dittongazioni, ricerca e trova modulazioni e tonalità poetiche che enfatizzano l’espressione della sua sensibilità poetica e pongono in rilievo il suo spirito di osservatore acuto e arguto della realtà e, a volte, di dissacratore della stessa. Dal punto di vista formale, Corrado Papa utilizza ampiamente la rima baciata e/o alternata, perseguendo anche effetti speciali tramite l’utilizzazione che introduce con grande spontaneità di assonanze e consonanze. C’è da chiedersi a questo punto se il suo mondo poetico, interprete della netinitas dal punto di vista linguistico e formale, non sia altrettanto ligio alla realtà sociale e umana in cui vive dal punto di vista contenutistico.

Una rapida analisi di solo alcune composizioni poetiche ci darà la risposta. Si comincia con “Cillitta ra Stazioni” (Fontanella della stazione) che all’inizio sembra un’esaltazione delle bellezze architettoniche di Noto: “U mo paisi è cinu i munumienti:/ u Municipiu, Erculi, a Matrici,/ l’autra criesa, l’autru cummientu…/ U mo paisi è tutto ‘n munumientu”. Il cuore del poeta batte però per l’umile “Cillitta ra stazioni” che piange. Forse perché non è nei libri di storia? Beh, se è per questo, che stia pure tranquilla perché “’Nte palazzuna carrichi ri vanti,/ i rintra non c’è nenti. Su vacanti”. Ecco lo spirito dissacratore che si fa luce con l’alibi di tranquillizzare la fontanella. I viaggiatori provenienti da Siracusa o da altre mete, scendendo alla stazione, ricorreranno alla sua acqua pura e la benediranno.

Il preside prof. Angelo Fortuna, l'autore di queste egregie riflessioni sulla poesia di Centina.

Il preside prof. Angelo Fortuna, l’autore di queste egregie riflessioni sulla poesia di CENTINA del ns. Corrado Papa.

La lirica “Nuotu”, che sicuramente risale a vari decenni fa (lo abbiamo sottolineato mettendo in evidenza il sottotitolo,Poesie Notigiane del Novecento” senza dimenticare che il libro è stato tutto curato e voluto dall’amico Editore prof. Biagio Iacono per la sua Sicula Editrice-Netum ), quando il degrado sembrava sul punto di sopraffare il barocco, è ambivalente. Il poeta è stanco di sentir dire sempre le stesse cose, “ca sulu a Nuotu esistinu ‘sti chiesi/ e Nuotu ci n’è unu, ‘nta sta terra […] I Nuticiani, principi e baruna/ erunu ‘ntisi, rintra e fora regnu,/ ma ora m’hatu ruttu li buttuna/ che tiempi re canonici ri lignu”. Gli dispiace che a Noto si venda, anzi si sia venduto troppo fumo nel Novecento, periodo a cui, appunto, egli si riferisce. Oggi, Corrado Papa è per il riscatto dalle trascorse mediocrità e vuole partecipare al nuovo corso, iniziato con il recupero della Cattedrale e di molti altri monumenti storici. Noto, proiettata nel mondo, è il suo ideale. Gustosa la poesia “U Patreternu e l’Angiulu”, in cui vediamo rappresentato un angelo che spia quanto il Padreterno fa durante la creazione del mondo “pi virriri o Signuri chi facia”. Il Signore ha tanta pazienza e chiede all’angelo di spiegargli che cosa desideri. La creatura angelica vuole conoscere i nomi delle piante messe a dimora, per così dire, dal Padreterno il quale, nella risposta, si limita all’essenziale che, in quanto tale, contiene la spiegazione di tutto il resto. Gli indica allora tre piante: Ricchizza, che però ha il difetto di nutrirsi da parassita a spese delle altre piante, determinandone la morte. C’è poi Puvirtati, facile da trovarsi nelle periferie urbane – direbbe papa Francesco – e poi Anuri (onore), che Dio raccomanda all’angelo. Poesia didascalica dunque in questa preferenza per la povertà e l’onore? Sì, c’è anche questo nei versi di Corrado Papa.

Corrado Papa, il Sindaco Bonfanti, il Giornalista V. Rosana e Biagio Iacono al microfono.

Corrado Papa, il Sindaco Bonfanti, il Giornalista V. Rosana, Biagio Iacono al microfono e l’Assessore Sabina Pangallo.

Modi di agire, comportamenti tipici del contesto sociale vengono puntualizzati  con acutezza, sì che sembrano essere pane quotidiano per il poeta, come in Riggina, in cui prevale il pessimismo per la città di Noto (di ieri), “e ora sta muriennu u mo paisi” per cui egli inghiotte “i lacrimi ca niesciunu”. Chiaramente la lirica risale agli anni 80 o 90, mentre quella intitolata “Zanna”, rappresentando una zingarella, “’Na picciuttedda tutta sbisazzata/ ccu ‘n pappaiaddu e cu ‘na cascittina”, appartiene, da quando la comunità dei camminanti fu accolta come parte integrante della comunità netina, ad un eterno presente netino. Corrado Papa descrive gli atteggiamenti della gente che, vedendo la zingara tirare “ ‘na signura ppa vistina/ e tira puru a tuonica a ‘n parrinu”, si scansa, sicché “pari c’hanu tutti prescia/ e c’è cu nun la viri e cu fa finta/ e cu si sgrigna pi sta zanna tinta”. Una denuncia bell’e buona dell’egoismo con espressioni dialettali molto significative.

Il comico, lo spirito di comprensione, l’ironia, cedono di tanto in tanto il posto a storie drammatiche, come quella della “Ronna ri rinari”, ricca e bella donna di vita, che, in una notte da tregenda, cade accoltellata da un ventenne, che succhia l’ultimo suo sangue, dopo quello a lungo risucchiatole dal suo infame sfruttatore. Sembra dire il poeta che la vita è assimilabile alla figura di “Ron Cocò”, protagonista di un’altra lirica, che con le sue facezie ed astuzia di norma faceva ridere, salvo poi a mettere in risalto il tragico della vita. Corrado Papa sente quindi l’esigenza di indicare la via d’uscita, se non proprio la salvezza, nell’amore, di cui propone una definizione. Nella composizione “Amuri è…”, per esempio, la risposta mi pare che stia tutta in quei tre puntini iniziali. Sì, è vero, quando si parla di amore prevale in lui lo scetticismo. Eppure questa parola c’è bisogno di sentirsela dire, forse perché tutti abbiamo bisogno d’amore, anche di parole d’amore, accettando perfino di essere imbrogliati da chi ci assicura il suo amore: “U sacciu ca m’ammnienti, ma rimmilli!”. Tra la realtà effettuale e la verità profonda delle cose c’è sempre un gap, uno scarto, evidente, per esempio, nell’impresa dei Mille, “I Milli”, di cui il poeta mette in rilievo non  la retorica patriottarda, – troppo facile e spesso anche falsa – ma la triste realtà dei ragazzi accorsi nel 1860 all’appello di Garibaldi, i quali lasciarono la loro giovane vita  sui campi di battaglia. Garibaldi, imbarcandosi per raggiungere la Calabria, dopo aver conquistato la Sicilia, non si accorse neppure di chi aveva lasciato senza vita per terra e dei lutti delle famiglie dei combattenti. Ci fu chi si volle illudere che si trattava di “fuocu i l’Etna”. In realtà “era sangu”, il sangue dei ragazzi caduti in battaglia, di cui nei libri di storia non si parla.

Un folto e qualificatissimo Pubblico ha partecipato alla presentazione di Centina.

Un folto e qualificatissimo Pubblico ha partecipato alla presentazione di Centina promossa dall’UNUCI-NOTO.

Di fronte a tali drammi, il bisogno di risollevare il morale con un tocco di sana ironia si fa pressante. Sappiamo che oggi si parla, a ragione, di crollo verticale delle nascite e di suicidio demografico italiano. Ecco, provvidenziale per chi desidera recuperare un po’ di ottimismo nei confronti del miracolo della vita, la composizione “Ciauru ri figghi” (Profumo di figli), in cui con allegra nonchalance, egli parla della gravidanza della moglie, da lei annunciatagli con studiata indifferenza, e dell’attesa del figlio tra una voglia e l’altra: “C’è prucurari ‘nfruttu a me muggheri/ ci ha ‘ppitittatu ‘n cuocciu i lignu santu”. Con il cuore pieno di gioia per la notizia della prossima paternità, è pronto ad affrontare eventuali “colliri e scanti”, riferiti alla crescita di un rampollo. Questa lirica è un canto alla vita.

Lo spirito fescennino licenzioso ma sempre cum grano salis ritorna negli otto versi dell’unica lirica con titolo in italiano, “L’amore coitale”. E qui si capisce perché il titolo è nella nostra lingua nazionale. Ma tutto si arresta al gusto della battuta, al doppio senso. Veramente ispirata mi sembra “Maronna re lacrimi”, ove, enfatizzati dalla rima baciata, sono elencati molti miracoli o presunti tali, tra cui la sua preferenza va a quell’usuraia che “nun sintia raggiuni né lamienti./ E nun sintia u ciantu re parenti”, finché non ascoltò finalmente “la vuci ri la so cuscienza”, guarendo, si presume, dalla malattia dell’usura. Esilarante è la dichiarazione d’amore alla moglie, “A majaria”. Certamente di un sortilegio si deve trattare, perché il Nostro, spaventato, si guarda allo specchio e, al posto della sua immagine, vede apparire “a facciuzza” della moglie: “U specciu ch’è obbrigatu r’ascutari/ … scancella a facci mia e tu cumpari”. Qual è il finale? Il suo cuore “u stissu s’arricria/ e voli beni a tia e puru o specciu”.

Il tempo tiranno a mia disposizione mi obbliga a porre fine al mio dire, sperando che i pochi esempi riportati, in mancanza della possibilità di un’analisi completa per comprensibili questioni di tempo, possano dare un’idea dell’ispirazione, fondata sul vissuto della realtà sociale in cui vive, di Corrado Papa che, senza arrivare alla denuncia sociale, sa bene che al borioso “cavalieri” – ma quanti cavalieri ci sono a Noto! – bisogna preferire il popolano, ma arguto, ‘mpa ‘Nzuzzu”. Sottolineerei come, per il gusto di una battuta, sopporti anche di essere smentito dalla realtà. È crollato il tetto della Cattedrale? Stiano tranquilli i netini, il maggior tempio della città – assicurano i politici – sarà ricostruito entro l’anno. Solo che anno egli lo scrive, e non certo per ignoranza del termine, con una sola enne: “entro l’ano”.

Il giornalista dott. Vincenzo Rosana ha brillantemente condotto la presentazione di Centina, da cui ha letto la Prefazione del concittadino Dott. Roberto Alfonso, Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Milano.

Il giornalista dott. Vincenzo Rosana ha brillantemente condotto la presentazione di Centina, da cui ha letto la Prefazione del concittadino Dott. Roberto Alfonso, Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Milano.

La realtà lo ha smentito nel senso che la Cattedrale ha ripreso vita velocemente: realtà di cui è sicuramente soddisfatto. Resta però intatto il suo spirito dissacratore. La sua capacità di osservazione, unitamente alle risorse linguistiche offertegli dal vernacolo netino, lo spinge a indagare nell’animo delle persone, non sempre con delicatezza e comprensione, ma con efficacia e ricchezza di significazioni circa la natura umana, per cui la sua poesia supera l’ambito locale per cogliere aspetti significativi sia dei limiti sia dell’ampiezza della dignità della persona. Non è un trattato sociale la sua poesia, anche quando denuncia imbroglioni, iettatori, guaritori e creduloni, cioè i cosiddetti “ammuccalapuna”; essa esprime però la ricerca di effetti comici verosimili con l’obiettivo di rendere più sopportabile il peso dell’esistenza. Non manca la riflessione sulle grandi tematiche dell’essere, sul senso del Natale, per esempio, sul desiderio dell’al di là in “M’ammientu”, dedicata all’amata madre trapassata, sui racconti della nonna, ricchi di umanità, sull’amore paterno, sulla gelosia, sulla pietas, come avviene nella lirica “Pietati”. Tra una battutaccia e l’altra si fa luce anche il rimpianto e la speranza.

Domina però su tutto il piacere di produrre effetti sonori tramite la parlata netina e l’uso sovrabbondante di espressioni popolari, che sono il risultato palpitante e la sedimentazione storica di una plurisecolare sapienza, passata al setaccio di un vissuto spesso drammatico e sempre carico di umanità. No, non sarebbe possibile immaginare la poesia di Corrado Papa, scritta in altro vernacolo o lingua. Egli è e resta radicalmente poeta netino, anzi “notigiano” per riprendere e concludere con il sottotitolo di “Centina”.

Angelo Fortuna

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CORRADO PAPA : “CENTINA, Poesie Notigiane del Novecento

a cura di Biagio Iacono, Sicula Editrice-Netum – Noto, 2016, pagg. 144, € 20,00  –

N. B.: Le foto di questo articolo sono del Cap. Prof. Francesco Capodicasa, Vicepresidente UNUCI-NOTO.

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