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“Gli Impianti Industriali di Palazzolo Acreide” di Corrado Allegra

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“Gli Impianti Industriali di Palazzolo Acreide” di Corrado Allegra

“Gli Impianti Industriali di Palazzolo Acreide e di alcune Contrade del Territorio Ibleo”

di Corrado Allegra

Tentativo per un Ipotetico Inventario– scrive l’Autore – ma in realtà trattasi d’un vero e proprio Zibaldone, nel senso migliore per studi e ricerche archivistiche di anni, che qui pubblichiamo in anteprima con la bozza integrale delle centinaia di pagine pronte per la stampa cartacea: un’occasione unica e preziosa che certamente il Sindaco – chiunque egli sia – e tutta l’Amministrazione Comunale di Palazzolo Acreide non si dovrebbero far sfuggire di mano, anche alla luce dei tantissimi altri Archivi della Città che Corrado Allegra da decenni ha trascritto e pubblicato salvandoli dall’oblìo e spesso dalla distruzione! Biagio Iacono

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Palazzolo Acreide, Aprile 2020 – Premessa: 

         Periodicamente il Regno di Napoli, divenuto successivamente Regno delle Due Sicilie, chiamò i suoi sudditi e quindi anche gli abitanti di Palazzolo a rivelare all’Illustre Deputazione dei Regi Donativi della propria Città le Rendite seu Gabelle annuali. Grazie a Salvatore Caligiore ho potuto consultare i Riveli del 1811, la rettifica di questi del 1816 e il Registro del Catasto del 1847 che mi hanno permesso di attingere una miriade di informazioni sull’argomento che tratto in questo mio lavoro. Naturalmente la maggior parte delle informazioni proviene dagli Archivi Storici delle Chiese di Palazzolo Acreide e dall’Archivio della Corte Vicariale.

          Le informazioni che do non riguardano le tecniche di produzione dei vari impianti industriali (palmenti, molini, neviere, concerie, frantoi, fornaci etc.), argomenti trattati da altri; e confesso la mia sommaria e generica conoscenza di queste tecniche, che potrebbero essere fraintese o dichiarate errate: il mio lavoro tende a formare un ipotetico inventario di questi impianti traendo le informazioni da documenti storici, usando magari un linguaggio monotono e ripetitivo, con l’avvertenza che esse danno semplicemente un cenno di quella che era l’effettiva presenza di questi impianti, che potrebbe essere più consistente e quindi altri potranno aggiungere altri impianti a questo mio presunto inventario, né intendo attingere notizie dai lavori di autori palazzolesi qualificati, e meglio informati di me, che hanno trattato argomenti similari, ai quali rimando per le opportune considerazioni. 

         Se in alcuni documenti ho riscontrato notizie sul modo di gabellare un impianto particolare o sulla sua costruzione certamente le trascrivo; e non nascondo la mia sorpresa, ma anche il mio compiacimento, per esempio, nell’aver scoperto che si gabellava un molino per una certa quantità di frumento cui era aggiunto l’aggettivo grosso: frumento grosso; e altre volte vi si aggiungeva: seu moliture, di cattiva qualità. Compresi che la qualità del frumento dipendeva non tanto dal frumento in sé e per sé, ma dal rapporto tra la quantità di frumento e la quantità di orzo che comprendeva la gabella: si andava dal frumento di buona qualità che conteneva solo frumento con un’elevata rendita che superava le quattro onze la salma; se la quantità si dimezzava, cioè metà frumento e metà orzo, diventava frumento grosso, seu moliture di cattiva qualità e poteva contenere o più frumento e meno orzo o meno frumento e più orzo con una rendita che oscillava arbitrariamente da tre onze e sei tari la salma fino a due onze la salma per quello di pessima qualità.

         Raramente si gabellava verbalmente. Quasi sempre si ricorreva ai contratti legali presso un Notaio, con patti e condizioni chiari che non ammettevano errori di interpretazione; sia il gabellante che il gabelloto si presentavano al Notaio con le idee chiare perché non veniva tollerata l’ignoranza delle regole da rispettare, anche quando i gabellanti o i gabelloti erano analfabeti. La gabella che si pagava non era frutto di valutazioni personali, quasi sempre si richiedeva l’intervento degli esperti o periti qualificati e riconosciuti pubblicamente, che valutavano un impianto, per esempio un molino, e ne assegnavano anche la rendita annuale che avrebbe potuto percepire il proprietario; rendita che non solo doveva percepire, ma anche dichiarare all’atto del rivelo dei propri beni per la loro tassazione, che di regola veniva calcolata sottraendo anche le spese (circa un terzo del valore della rendita lorda) per gli acconci e ripari e altro per la manutenzione dell’impianto, così si arrivava alla rendita netta che poi veniva tassata, regolarmente al 5 % sotto il Governo Borbonico.

         La conduzione dell’impianto poteva essere gestita anche direttamente dal proprietario, ma la valutazione dell’impianto e la rendita che ne poteva ricavare dovevano essere sempre stimate da uno o più esperti.

 ***   I Palmenti

         Già nel sec. XVII il Territorio di Palazzolo e delle zone limitrofe era costellato da una moltitudine di Palmenti, ora scavati nella viva roccia, all’aperto o posti dentro grotte, ora costruiti in muratura o di legno; di regola ogni proprietario di una vigna possedeva un proprio Palmento per produrre la quantità di vino che gli serviva e che anche poteva vendere. I documenti che prendo in considerazione provengono soprattutto dagli Archivi Storici delle Chiese di Palazzolo perché molti Impianti Industriali e anche Palmenti appartenevano a persone ecclesiastiche o erano amministrati dai Rettori e Procuratori delle varie Chiese. Fino alla metà del sec. XIX, gli Ecclesiastici, Sacerdoti o Chierici in generale, godevano tra le altre franchigie anche di quelle imposte che tassavano il vino, e spesso questi Ecclesiastici vendevano il vino di loro produzione.

         Tuttavia, durante le mie varie escursioni nel Territorio Ibleo, ho riscontrato la presenza di altri Palmenti che non sono citati in questi documenti, che esistettero e qualcuno ancora esiste; tra questi un Palmento, particolare per me, è quello ubicato nell’Acremonte, e precisamente nei pressi della Strada Panoramica, poco distante dalla cosiddetta Grotta di Senebardo. Questo Palmento Rupestre fu oggetto di una pulitura straordinaria a cura del Centro Culturale Balansûl dal 1994 al 1998.

         E inizio proprio trattando questo Palmento. 

***   Il Palmento Rupestre di Acremonte 

         La pulitura interessò il Palmento Rupestre di Acremonte e la zona esterna adiacente, che si presentavano interrati e con una fitta vegetazione spontanea che ne ostacolava la fruizione. I lavori di pulitura iniziarono il 14 Maggio 1994 e furono continuati con ampi intervalli fino al 1998 quando nel mese di Marzo furono chiusi definitivamente. Questa pulitura permise di definire soprattutto l’interno, l’accesso al Palmento, la zona esterna alla finestra posta sopra il palchetto. Il materiale proveniente dall’interno risultò di scarsa importanza in quanto era costituito da terra e da pietre che non presentavano alcun segno particolare. Più interessanti si rivelarono i frammenti provenienti dall’esterno che sicuramente non avevano alcuna relazione con il Palmento e che invece erano scivolati dall’alto e quindi appartenevano a un contesto storico anteriore.

         Furono ritrovati: tra i materiali sporadici di superficie una moneta di bronzo della Zecca di Siracusa del terzo secolo a. C. con sul dritto la Testa diademata di Poseidone a destra e sul rovescio il Tridente;      nella zona antistante una bulla di piombo con perlinatura in basso e sigla L. R. su tutte e due le facce e al centro del terreno antistante la finestra del Palmento si rinvenne un frammento di pasta vitrea con ritratto di divinità femminile, o meglio come scrive Salvatore Distefano: un frammento vitreo con a rilievo l’impronta di una dea abbigliata alla greca e coronata. Salvatore Distefano così continua: Il reperto, rinvenuto all’esterno del palmento rupestre, all’interno di una unità stratigrafica omogenea, costituitasi con il dilavamento dei terrazzamenti del pendio, giaceva al momento della scoperta sopra uno strato di carboni a contatto con la pavimentazione dell’ambiente, allo stato attuale delle ricerche non identificabile con sicurezza. Il manufatto poiché fratturato su tutti i margini non può essere attribuito in maniera attendibile ad una forma specifica, si può ciononostante, considerata la natura concava dello stesso e l’affioramento in basso di un tratto del cavetto, riconoscere nel frammento la parte più prossima al piede di una forma aperta con parete verticale. Viceversa si può asserire che la figurazione è integra e che l’impronta era contenuta dentro un apparente ovale; la figurazione appare perciò come un piccolo bustino, e il suo panneggio come un elemento sentito e destinato ad attribuire significati al personaggio rappresentato. Il volto è ovale circondato da una ricca e morbida chioma, a sinistra mossa da un leggero vento, a destra ricadente sulla spalla con un ricciolo; lo sguardo è trasognato, immerso in uno spazio senza dimensione. Tutto il materiale ritrovato, compresa la relazione della pulitura, fu depositato presso l’allora Soprintendenza ai Beni Culturali di Siracusa.         

      L’impianto presentava a destra dell’ingresso il palchetto con la vasca per la pigiatura dell’uva e due ampi e profondi serbatoi dotati in origine di scaletta; a sinistra una piccola mangiatoia e una panchetta in muratura, che poteva fungere anche da letto; sulla parete di fronte all’ingresso l’alloggiamento per il torchio a vite con alla base un serbatoio circolare chiuso un tempo con un coperchio di legno.

                All’interno dell’impianto furono rinvenuti quattro pesi di pietra verosimilmente utilizzati in una pressa di cui non si conservano elementi sicuri, e tra i materiali provenienti dai serbatoi una fiaschetta acroma di fabbricazione recente (sec. XX) e un piatto smaltato con decorazione floreale entrambi in frammenti.    ……….SEGUE….

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