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“Mariannina Coffa e …le due Capinere” di Gino Raya(1906-1987)

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“Mariannina Coffa e …le due Capinere” di Gino Raya(1906-1987)

 

“Mariannina Coffa

e …le due Capinere”

di Gino Raya (1906-1987)

Mariannina Coffa Caruso in Morana. (Noto,1841-1878)

 Perché “…a nessuna creatura,meglio

che a Mariannina Coffa, si potrà

ormai attribuire il nome di Capinera”.  

   A definire Mariannina Coffa «capinera ferita», con evidente rapporto alla Storia di una capinera di Giovanni Verga, fu primo lo Sgroi, in un saggio del 1931. L’ambiente siciliano, l’epoca, l’analogia degli avvenimenti e dei sentimenti, legano in verità   le due creature più che due sorelle, al punto che qualcuno ha creduto di ravvisare nel romanziere la conoscenza del1a poetessa. Il romanzo usciva nel 1871, mentre Mariannina, sposa infelice, languiva a Ragusa da un decennio: ma nessun legame consapevole, neanche genericamente culturale, esisteva fra lo scrittore catanese e la poetessa netina.  Il legame era soltanto nel sangue siciliano. Verga non faceva che battezzare un complesso psicologico: ma a nessuna creatura, meglio che a Mariannina   Coffa, si potrà ormai attribuire il nome di capinera.

Le “Poesie scelte”di M. Coffa, a cura di Biagio Iacono con Introduzione di Gino Raya, Sicula Editrice Netum, Noto, 1988.

   Il confronto tra le due capinere ha questo punto di partenza: quella reale, Mariannina Coffa, è separata dal fidanzato da un matrimonio impostole dai genitori; quella immaginaria, la Maria verghiana, è separata da Nino dalla monacazione, impostale dalla matrigna. Le lettere dell’una sono indirizzate ad Ascenso, le lettere dell’altra s’immaginano rivolte ad un’amica.

   Cos’è, anzitutto, l’uomo amato per una «capinera»? E’ un angelo; non simile a un angelo, ma un angelo in piena regola. Della Coffa conosciamo la lirica All‘angelo mio e le crisi isteriche  durante le quali vede « Uno grande, con le ali bianche». La Maria verghiana pensa al suo Nino « con tale tranquilla dolcezza che  le pareva essere fra gli angeli, ed uno di questi che si chiamava Nino la avesse preso per mano, la chiamasse per  nome, e guardassero  entrambi le stelle ».

  E la casa dell’angelo? La poetessa non fa che ricordare la propria casa natale «e il verone ove soleva spesso sedersi le belle sere di maggio e di ottobre», contemplando la vicina dimora di  Ascenso. La capinera verghiana, «qualche volta, all’alba quando è ben sicura che nessuno potrebbe sorprenderla, apre pian piano la finestra per vedere laggiù, in fondo alla valle, la casa dove egli [Nino] abita, dove egli dorme forse a quell’ora, per vedere il suo tetto, la sua finestra, quel vaso di gelsomini, quella vite che ombreggia la sua porta» …

   Un ballo, che per tante ragazze moderne è cosa di ordinaria amministrazione, sconvolge la poetessa già sposa: «Una sera … mi si costrinse a ballare … Oh me infelice! e fra tante mani, di gente che appena conoscevo, io dovetti stringere la vostra   mano, tremando per tutto il corpo» … A maggior ragione Maria avanti la monacazione: «Ho ballato! … intendi? ho ballato!… con lui».

   Tanto al matrimonio dell’una, quanto alla monacazione dell’altra, non la madre o la matrigna, ma il padre piange, L’avvocato Salvatore Coffa «pareva invecchiato di venti anni», piangeva «come un fanciullo»; il padre di Maria «piangeva.  Perché piangeva?». I due momenti culminanti del sacrificio sono accomunati da questo sentimento di dolore e di rimorso da parte del genitore.

“Capuana e D’Annunzio”: il libro di Gino Raya, da cui Biagio Iacono ha tratto le pagine di questo articolo.

   Dopo, Ascenso avrà altre donne, Nino sposerà Giuditta, sorella della povera monaca. «Muoio di gelosia, geme la poetessa. E l’altra si contorce all’atroce spettacolo degli abbracci fra Nino e Giuditta.

   «Come vivo io, Ascenso (chiede la Coffa il 3 aprile 1871), come sono vissuta undici anni fra il sospetto, la malignità, il disprezzo, la cupidigia e l’interesse?» E come in un canto amebeo risponde Maria: «Quei due cuori felici avranno pensato qual­ che momento … a questa povera donna che si muore qui, sola,  derelitta?».

   Una volta Ascenso viene a Ragusa per una ispezione scolastica: la  donna segue i suoi movimenti «nascosta dietro   le persiane», finché si accorge che quello è partito, «partito senza vederlo … senza poterlo rivedere mai più!». La creatura   verghiana ha un grido analogo: «E’ partito! … è partito!»; e più avanti, quando sarà rinchiusa in convento, anche  lei  vedrà,  non  vista, il suo uomo, in tutto simile ad Ascenso: «Egli passava insieme ad altri amici suoi … Non ha  levato nemmeno gli  occhi… Non  si è forse rammentato che in  questo convento ci doveva essere la sua Maria».

   Le due capinere non si pongono neanche il problema dell’amore sensuale, tanto è il pudore connaturato alle loro  indoli  verginali; ma amano con una intensità che spaventa,  fino a temere la pazzia. La Coffa avverte il «fuoco nell’anima e il  ghiaccio sulla fronte» (9 febbraio 1870), la monaca sente un serpe «fitto nel cuore», l’una intuisce di non poter «durare a lungo  in simile stato», l’altra « ha  paura» d’impazzire.

   La crisi finale e mortale strappa alle due sventurate un grido di maledizione, tanto più toccante in quanto contrapposto (e  legato insieme) a tutta una vita di rassegnazione esteriore ai  voleri o pregiudizi altrui. Scrive la Coffa al suo medico:  «Maledetto il giorno in cui nacqui» ecc. Grida la monaca: «Maledizione! maledizione su me, su lui, su tutti!».

   Crisi tanto violenta quanto episodica: le due creature  rimangono, nel nostro  ricordo, vittime della loro stessa mitezza. E l’analogia del loro destino può sorprendere solo  chi non conosca quel volto della donna siciliana, che  resterà ormai   sotto l’insegna della capinera. Capinera è la giovinetta per la  quale il primo amore, quali che siano i contrasti della famiglia   o della società, quali che siano gli atteggiamenti dell’uomo  amato, si svolge e sublima sino a morire con lei.

   Non diciamo che tutte le donne di Sicilia amino alla capinera, né che donne non siciliane non possano amare allo stesso  modo; diciamo che il Verga – sia pure sotto forma letterariamente  immatura e convenzionale – ha indovinato un segreto di molte donne della sua terra.

   Il confronto fra le lettere di Mariannina Coffa e il romanzo giovanile del Verga fa meglio apprezzare  la bellezza delle  prime e la verità del secondo.

Gino Raya (a cura di Biagio Iacono)

(Mineo25 giugno 1906 – Roma2 dicembre 1987)

 NB: tratto da CAPUANA E D’ANNUNZIO,

Niccolò Giannotta Editore, Catania,1970, pagg.27-31,

                 con foto di Mariannina Coffa in sovracopertina.                                       

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