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“Vittorini e la Marcia su Roma” di Enzo Papa

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“Vittorini e la Marcia su Roma” di Enzo Papa

Elio Vittorini e

la Marcia su Roma

di  Enzo Papa

 

   Il 28 ottobre 1922 iniziava l’anno zero dell’era fascista. Per tutto il ventennio quella data veniva festeggiata perché ricorreva l’anniversario della Marcia su Roma e la presa del potere da parte di Mussolini.

Fiumi di inchiostro sono stati scritti su quell’eversiva manifestazione armata, brutta copia della dannunziana Marcia su Fiume, che poi divenne la pietra miliare dei fascisti della prima ora, anche di quelli che standosene comodamente sui divani di casa, dichiararono di esserne stati protagonisti per ottenere aiuti e prebende.

Nel decimo anniversario della Marcia su Roma, dunque il 28 ottobre 1932, il ventiquattrenne Elio Vittorini, non ancora preda degli astratti furori, pubblica su “Il Bargello”, il settimanale politico fascista diretto da Alessandro Pavolini, il racconto “Il mio ottobre fascista”, in cui narra la sua inconclusa e tragicomica partecipazione alla Marcia su Roma.

Perché Vittorini scrive e pubblica questo racconto che ad una attenta lettura appare un’invenzione mimetizzata come autobiografica per rendersi credibile? Egli utilizza una serie di ambiguità e di passaggi sfumati, anche arbitrari, autorizzando così più di una interpretazione. Già da tempo Vittorini vive a Firenze, corregge bozze al quotidiano “La Nazione”, ha già pubblicato i racconti di “Piccola borghesia” (alcuni anche su “Il Bargello”) e, insieme a Enrico Falqui l’antologia “Scrittori Nuovi”, scrive articoli e saggi di tutto rispetto, è redattore di “Solaria”, è diventato amico di Montale direttore del Gabinettio Viesseux, è un habitué del Caffè “Le Giubbe Rosse”; insomma è una figura abbastanza affermata e apprezzata. E tuttavia è sempre in bolletta, sempre alla ricerca di denaro.

Che necessità aveva di dichiarare, apertis verbis, dieci anni dopo, di essere stato un fascista della prima ora, seppur quattordicenne?

Fatto sta che nel maggio di quell’anno la rivista “L’Italia Letteraria”, diretta da Corrado Pavolini, fratello di Alessandro ed entrambi figli di Paolo Emilio Pavolini, Presidente del Gabinetto Viesseux, promuove una strana “crociera letteraria” in Sardegna a cui è abbinato un concorso letterario per il miglior diario di viaggio, mettendo in palio la somma di £ 5.000, abbastanza ragguardevole per quei tempi. Caporedattore della rivista era l’amico e sodale Enrico Falqui, anch’egli autodidatta, di origine sarda. La commissione era composta da Silvio Benco (a cui nel numero di giugno di “Pegaso” Vittorini aveva dedicato un corposo saggio), da Cipriano Efisio Oppo ( deputato alla Camera e da lui incluso nell’antologia “Scrittori Nuovi”) e dal Premio Nobel Grazia Deledda che lo presiedeva. Montale si premurò di raccomandare Vittorini a Benco. 

Col parere contrario di Grazia Deledda, il premio venne assegnato ex aequo a Virgilio Lilli e a Vittorini, ma con atto d’imperio la somma venne divisa in parti diseguali: £ 3.000 allo squattrinato e indigente Vittorini e £ 2.000 a Virgilio Lilli, con una motivazione onorevole che giustificava quella divisione. Ma bisognava accreditarsi, far parte della cerchia, essere credibili, e basterebbe questo a giustificare la pubblicazione di quel racconto. Tanto più che nell’aprile dello stesso anno a Vittorini era andato un premio di consolazione di £ 4.000 dell’Accademia d’Italia presieduta da Massimo Bontempelli a cui era stata segnalato da Angiolo Silvio Novaro, per l’intervento del cognato Salvatore Quasimodo.

All’apparenza, dunque, il racconto può sembrare autobiografico, e molti così hanno creduto. Ma non è così. Vittorini mischia le carte. A quattordici anni egli frequentava “a tutte le ore” il gruppo anarchico “Bakunin” di Alfonso Failla, leggeva i libri che questi gli prestava, era partecipe di quella ideologia anarchica che fronteggiava lo squadrismo fascista in camicia nera. Come mai, allora, nel racconto scrive di “una realtà meravigliosa di questi ragazzi in camicia nera che rivoltavano il fondo melmoso della quiete provinciale”? Come mai scrive di aver stretto amicizia coi pochi fascisti che non erano andati al Congresso di Napoli? Ha forse abiurato?

Diverse sono le incongruenze e le bugie. Intanto nel 1922 egli frequentava la prima classe dell’Istituto per ragionieri e non il liceo classico come invece dichiara. Preso di fervore fascista, chiese la tessera “ad un grassone di terza liceo, onnipossente in Partito!”, ma rimanendone burlato. La sera precedente la partenza dice di aver partecipato ad una “tempestosa radunata” fascista per ottenere, come suo diritto, un fucile, ma venne quasi preso a calci, mentre “avevo da me” la camicia nera.

Ma come, intorno ai gruppi anarchici non si stringevano tutti coloro che non volevano piegarsi al Fascismo? E’ credibile? Sul treno che partì dalla stazione “pieno d’un vocìo di belve feroci”, non riconobbe uno solo dei suoi amici. E ti pareva! Mente ancora raccontando sul treno la sua infanzia a Gorizia, dove in effetti andrà solo nel 1927.

Enzo Papa

Ma c’è di più. Alfonso Failla ha dichiarato a Massimo Grillo, biografo dei Vittorini, che da Siracusa non partì alcun treno di camicie nere per la Marcia su Roma.

Insomma, a ben vedere il racconto risponde soltanto alle ragioni narrative di Vittorini, non ad altro.

Tuttavia, Raffaele Crovi scrive che “il racconto è interessante non solo perché ricostruisce, in pieno regime fascista, nel ’32, la Marcia su Roma in chiave di grottesco provinciale, ma perché ci dice, in forma di narrazione trasposta e proiettiva, che dopo il ’24, per almeno un decennio, Elio Vittorini fu un “libertario”.

Enzo Papa

NOTA BENE: Questo articolo di Domenica 25 Settembre 2022 

è tratto dal quotidiano LA SICILIA di Catania,

che ringraziamo per la gentile collaborazione.

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