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Consolo, Leone e “La Sicilia passeggiata” di Enzo Papa

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Consolo, Leone e “La Sicilia passeggiata” di Enzo Papa

CONSOLO, LEONE E “LA SICILIA PASSEGGIATA”

di Enzo Papa

Come è stato scritto, studiato, analizzato, sviscerato, si può dire che tutta la produzione letteraria di Vincenzo Consolo ha un solo comune denominatore: il viaggio, il viaggiare. Dentro e fuori di sé. Egli, che aveva scelto di vivere a Milano, il luogo ideale – come diceva Calvino – in cui vivere da straniero, da lì, transfuga dalla Sicilia come Verga, come Pirandello, come Vittorini, come Camilleri e come tanti altri siciliani di ieri e di oggi, si fa viaggiatore al modo dei viaggiatori settecenteschi del Gran Tour  scesi a scoprire la Sicilia, consapevole non solo di avere addosso una macchia di negligenza e una sorta di rimorso per il forzato abbandono, ma soprattutto la consapevolezza di non conoscere la sua terra, di cui vorrebbe possederne le chiavi della conoscenza.

“Enigma mai risolto è la Sicilia, è archetipo, aleph, geroglifico consunto, alfabeto monco”. Moderno Ulisside come il monaco Tommaso Fazello che egli ama citare “che dopo il lungo medioevo di sonno e di oblio in cui l’isola era caduta, nel tempo del Rinascimento, primo la riscopriva, partendo dalla sua Sciacca, percorrendola palmo a palmo, descrivendola; e per il suo amore e per la sua mano si risveglia questa terra, torna a rivivere”. Ed è proprio facendo eco a Fazello  che Consolo percorre la Sicilia palmo a palmo, in un viaggio nello spazio geografico e nel tempo, nella storia e nel costume, nei segni culturali e nella civiltà, e conclude la sua “passeggiata”, il suo viaggio, con la stessa speranzosa immagine suggerita da Fazello: “Al termine del quale, non possiamo non sperare che la figlia di Demetra, la fanciulla assopita nell’inverno della grotta, negli ascosi meandri, si scuota, esca dal suo torpore di pupa, salga sopra il carro d’oro, torni alla superficie, risorga alla luce. Come fa l’ape nella primavera, come fa la primavera della storia”. E non dimentichiamo che il testo di “Sicilia passeggiata” aveva prima come titolo emblematico “Kore risorgente” (nell’ edizione Nuova ERI del 1990 “Sicilia teatro del mondo”. Ma non è cosa facile conoscere la Sicilia, semplicemente perché “La” Sicilia non esiste.

Esistono tante Sicilie, nella testa, tante quante idee di essa si fanno. E non è questo solo un concetto, un aforisma originale di Bufalino. La conoscenza profonda della Sicilia è irta di difficoltà anche per un siciliano, perché ciascuno legge le sue pagine scoprendo sempre nuovi aspetti, nuove facce, si che, facendo ancora eco a Goethe, Consolo sa che “la vita di parecchi uomini ci vorrebbe, per conoscere la Sicilia, come ogni luogo così stratificato, e anche le pagine degli infiniti volumi, tanti quanti nella borgesiana biblioteca di Babele, che sulla Sicilia sono stati scritti”. Ma Consolo non demorde, non gli basta leggere tutti i libri, vuol vedere con i suoi occhi e vuol raccontare con la sua parola preziosa e compie il suo viaggio, il suo nostos alla ricerca di quella “chiave di tutto” di cui parlava Goethe, che è anche ricerca della grande madre e della propria identità, ricerca del presente e del passato; ma è   un viaggio anche di recupero della memoria, di opposizione alla sua cancellazione, alla sua perdita, di resistenza ad ogni forma di globalizzazione ove si annulla la nostra identità. Non entro adesso negli aspetti meramente letterari della sua produzione, perché non a questo sono stato chiamato, quanto di un altro viaggiatore, di un altro narratore che ha percorso anch’egli questa terra palmo a palmo nel corso di oltre mezzo secolo, con gli stessi, oserei dire identici interessi di Consolo: cercare di capire la Sicilia raccontandola per immagini, con un elemento narrativo autonomo, lasciarne testimonianza e memoria con quell’indiscutibile “hic et nunc” della fotografia, quel frammento di eternità che si definisce entelechia e che potrà sfociare nel mito. Potremmo quasi dire che l’obiettivo della macchina fotografica di Leone è l’occhio di Consolo, tanto simile è il loro narrare; “Obiettivo intelligente e amoroso, vale a dire sapiente” l’ha definito Consolo. Non c’è, infatti, chi non veda, chi non riconosca analogie, connessioni, corrispondenze, relazioni, tra i due discorsi, tra i due codici, fotografico l’uno, letterario l’altro.

Gesualdo Bufalino, Leonardo Sciascia e Vincenzo Consolo in una celebre foto di Giuseppe Leone.

Il sodalizio tra Consolo e Leone, ebbe inizio credo negli anni settanta. Leone conobbe Consolo in casa di Sciascia, alla Noce.  C’è infatti una sua famosa foto, riportata anche sul “Corriere della sera” di qualche giorno fa, che ritrae Sciascia insieme ad un giovane Consolo, proprio alla “Noce”. Da quel momento in poi, si cimentò una profonda amicizia che è durata sempre, testimoniata fino all’ultimo da quell’altra famosa foto scattata a Ragusa Ibla un anno prima della morte dello scrittore, il quale a Leone sembrò invecchiato di colpo. Ma l’amicizia, per la consonanza di interessi e di visione, per la comune capacità di osservazione e di indagine, ha trovato la sua giusta dimensione nella collaborazione, sì che le foto di Leone fanno da armonico “pendant” alla scrittura di Consolo e ne costituiscono parte integrante, coniugano l’immagine con la parola, com’è evidente in questa “Sicilia passeggiata”, dove le immagini non hanno alcuna funzione ancillare, ma testo e immagini formano un unicum prezioso “assai stretto e in qualche misura fondativo”, come ha scritto Gianni Turchetta in prefazione. Ma c’è da dire che le foto di Leone hanno accompagnato anche testi di altri scrittori siciliani, in primis quelli di Leonardo Sciascia.

E qui mi piace ricordare il bel testo e le preziose immagini di “La contea di Modica”, Electa,1983, lì dove Sciascia, elogiando il modo e il lavoro di Leone dice che “Non c’è paese della Sicilia che non conosca, festa o monumento che siano sfuggiti al suo occhio, al suo obiettivo. E, “à la sauvette”, scene di vita, quei momenti assoluti e irripetibili che la fotografia – un certo modo, il più esatto e autonomo modo di intendere la fotografia – ha saputo inventare”. O anche collaborazione con l’altro grande scrittore della triade siciliana, Gesualdo Bufalino, a lui vicino di casa e di uguale dialetto, insieme in quel bellissimo libro sul paesaggio siciliano, “L’Isola Nuda”,(Bompiani, 1988) lì dove Bufalino fa questo ritratto di Leone: “Nelle fotografie di Leone non cercate la collera né la pietà civile, né l’avvampo della metafora; bensì, istigato dall’eccellente mestiere, un colpo d’occhio avvezzo a cogliere le mimiche significanti del grande teatro umano, tanto negli individui che nelle folle, durante le cerimonie e le liturgie delle feste; ma, specialmente, una devozione attenta alle forme, ai comportamenti; alla pelle del cielo, della terra e del mare. E’ uno, Leone, che alla Sicilia s’accosta come a un impervio corpo di donna, e che si giova, per possederla, di tutte le arti che il suo privato Kamasutra oculare e tattile gli suggerisce; ora sfiorandola appena; ora facendole teneramente violenza; ora guardandola con finta pigrizia, come dal balcone d’una stella remota; ora frugandola con le mani febbrili del cercatore di “trovature”.

                                   Enzo Papa

E recentemente, per la mostra dell’estate scorsa a Bergamo, che si titola “Metafore”, curata da Elisabetta Sgarbi e da Mario Andreose, Salvatore Silvano Nigro ha potuto descrivere così il lavoro e lo stile di Leone: “La macchina fotografica di Leone entra nelle residenze signorili, nei salotti borghesi, nei circoli di conversazione, nelle chiese. Aggrava le ombre, esplora i silenzi come da sepolcro, registra lo strepito a vuoto delle conversazioni, sigilla i silenzi che scivolano da bocche annose, spia gesti e pettegolezzi, orgogli e vanità. Divaga tra ripide scalinate. Consacra e dissacra. E si ferma sgomenta davanti alle rovine, ai resti dirupati di una città morta”. E’ lungo, assai lungo l’itinerario artistico di Leone. Egli cominciò giovanissimo ad avere buoni commerci con la fotografia. Forse era ancora minorenne quando nel 1952 scattò una delle sue più famose fotografie, quella che adesso, ha avuto la dignità della copertina nella ristampa che Bompiani ha fatto del “Viaggio in Italia” di Guido Piovene. E’ facile, allora immaginare la consistenza del suo archivio fotografico, vera cassaforte della memoria e dell’amore per la Sicilia.

Le foto di Leone hanno sempre un loro originale taglio, un loro senso, riconoscibile, come accade solo a pochi altri grandi fotografi; le sue immagini non sono vuote di significato, non sono senza amore o prive di partecipazione emotiva. Per questo la fotografia di Leone ha una sua precisa identità, una sua facile riconoscibilità. Vittorini volle illustrare Conversazione in Sicilia con le foto di Crocenzi; ma egli voleva, con quelle immagini, prendersi la migliore rivincita “dell’in più di reticenza” a causa della censura fascista. In quell’edizione illustrata l’occhio di Crocenzi non ha autonomia, in quanto il fotografo è chiamato a seguire e a raccontare per immagini il testo di Conversazione, con la guida e l’occhio di Vittorini. Le illustrazioni di Crocenzi sono allusive e simboliche, hanno una funzione ancillare, ammiccano e strizzano l’occhio alla pagina. Non è così per “La Sicilia passeggiata”, perché il suo corredo fotografico non inficia per nulla il tono poetico della pagina consoliana, anzi gli si accosta con discrezione e, in un certo senso, lo valorizza e lo sostiene.

Enzo Papa

N.B.: il testo di cui sopra è apparso il 15 Novembre 2022,

su LA SICILIA di CT, che si ringrazia per la collaborazione.

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