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E. Papa: “Consolo, Sciascia e il caso Crowley”

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E. Papa: “Consolo, Sciascia e il caso Crowley”

CONSOLO, SCIASCIA E IL  “CASO  CROWLEY”

  di Enzo Papa

Enzo Papa

 

   E’ bastato un articolo pubblicato su “Repubblica” del 14 marzo scorso per suscitare nuove attenzioni sui “rapporti letterari” che sia Sciascia che Consolo hanno avuto con “The Great Beast”, il mago satanista inglese Aleister Crowley, approdato a Cefalù dal 1920 al 1924 in una villetta fuori paese, sulla collina di Santa Barbara, da lui battezzata Abbazia Thèlema. In quell’articolo  il giornalista si diceva “attonito” per aver saputo che “il riservato e moraleggiante Consolo” aveva commesso un “peccato letterario”, avendo pubblicato, all’inizio degli anni settanta e con pseudonimo, un romanzo erotico nella collana “I libri della notte” della casa editrice milanese Kristall di Cesare Vacchelli, il cui contenuto riguardava proprio il caso del mago Crowley. Ma il giornalista ritiene che Consolo, cedendo “alla tentazione dell’ “hard-novel”, abbia voluto imitare il “confrère” Leonardo Sciascia, il quale nel numero di  luglio 1968 della rivista per uomini “Playmen” di Adelina Tattilo e del marito Saro Balsamo (e non di Oreste del Buono, che non c’entra) aveva pubblicato, accanto a Renato Guttuso e a Henry Miller “Apocrifi sul caso Crowley”, testo confluito poi in “Il mare colore del vino“.  Solo che in quegli “apocrifi” sciasciani, nulla c’è di erotico o di pornografico e dunque non si comprende in che cosa Consolo abbia voluto imitare Sciascia, visto anche che su “Playmen”, dove hanno pubblicato senza pseudonimo tutti o quasi i maggiori scrittori italiani e stranieri, mai è apparso uno scritto di Consolo. L’ “imitazione”, caso mai (ma solo relativa al caso Crowley), a volerla cercare, possiamo trovarla nel testo consoliano apparso su “Tempo illustrato” del 2 ottobre 1971 (poi in “La mia isola è Las Vegas”) dal titolo “C’era Mussolini e il diavolo si fermò a Cefalù”; e non possiamo dire, come per il testo di Sciascia, che si tratti di una “hard-novel”. Tutt’altro.

   Ma del racconto “peccaminoso” di Consolo (che forse a rileggerlo ora, con i tempi che corrono, sembrerebbe quasi casto, come oggi appaiono certi romanzi datati di Moravia) noi amici sapevamo come di un “divertissement” profumatamente pagato e in questi termini certamente l’avrà appreso Ambrogio Borsani direttamente da Consolo, il quale gli aveva detto di non ricordare il titolo, ma che trattava del caso Crowley. Il giornalista ritiene che il libro “peccaminoso” di Consolo potrebbe essere quello uscito il primo novembre 1973 con il titolo “Violenza sotto il sole”, perché è firmato da un certo Leonard Crow che, sempre secondo il giornalista, è pseudonimo che sta a metà tra Leonardo (Sciascia) e Crowley. Solo che in questo romanzo, come egli stesso annota, non esiste alcun riferimento al caso Crowley. Ciò non vuol dire, tuttavia, che anche questo non sia dello pseudoconsolo.

   Non penso, dunque che in questa storia ci sia tanto da meravigliarsi. Resta invece meravigliato e “attonito” il lettore dell’articolo, sia per il tono di grande sorpresa e meraviglia, quasi di una eclatante scoperta che par di leggervi, sia per qualche scorrettezza, come quando si afferma che il curatore del Meridiano Mondadori recentemente pubblicato, Gianni Turchetta, abbia volutamente ignorato l’introvabile libro “misterioso” di Consolo, quando invece a pag. 1395 se ne fa puntuale riferimento, e scrive testualmente: “Le competenze di Consolo sulla vicenda di Crowley trovarono impiego anche nella scrittura di un romanzo pornografico, pubblicato presso l’editore Vacchelli di Milano, e non ritrovato. Si tratterebbe certo di un diverso “apocrifo”, decisamente interessante: sappiamo che l’autore si divertì molto a scriverlo, e che ne ricavò un consistente pagamento forfetario”. Che dire? Ricordo un mio amico, famoso pittore socialmente, civilmente e politicamente impegnato, da me sorpreso nel suo studio a dipingere un quadro di peperoni, salsicce  e pomodori, anziché uno dei suoi grandi temi. E, davanti al mio imbarazzo si giustificò dicendomi: ”tanto, lo firmo con altro nome perché è “altro” da me; è che al ristorante dove vado non mi fanno mai pagare”. Ebbene, nulla quel quadro (e qualche altro simile) ha tolto alla nobile arte del mio amico pittore.

Enzo Papa

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