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“Parole vuote o segno …dei tempi?” di Nuzzo Monello 

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“Parole vuote o segno …dei tempi?” di Nuzzo Monello 

Parole vuote o

segno…dei tempi? 

Racconti amari per palato …Dolce!

di Nuzzo Monello

   Sarà Bellissima è stato e chissà forse continuerà ad essere uno slogan politico per conquistare la Sicilia. Fallimento totale e un amore mai consumato agitato da intenti di grande stravaganza e per estensione tutto è diventato borgo: costumi burleschi, rappresentazioni storiche di alto lignaggio e ritrovi felici in stalle dismesse.

   Il bello, sdoganato dall’Oscar “La Grande Bellezza”, fa parlare e affascina ancora, basta chiudere gli occhi. Chi proprio non li vuole aprire sono gli Amministratori specie in tema di attrazione turistica, tutti ovunque avanzano priorità di bellezze e si allestiscono passerelle per un programmato “ritorno”, gioviale, gastronomico, balneare, intriso d’arte e cultura. 

   Il folklore roboante della rossa religiosità per San Paolo a Palazzolo, la composita processione amaranto dei fedeli di San Corrado a Noto, l’azzurra plaga festa di Santa Venera ad Avola, il bianco dell’Assunta a Pachino, il giallo manto di San Luigi Gonzaga a Rosolini, e la Luce a tutto campo verde a Siracusa in onore di Santa Lucia. C’è persino chi, fotografando il mare presso la battigia sabbiosa di Avola o Noto e l’infrangersi delle onde sui cubi protettivi di Marzamemi, ha come unico confronto di personale promozione, le spiagge caraibiche. Altri consumati dalla rincorsa al primato aggrediscono le tradizionali tipicità locali e farle passare come proprie. Avviene per la mandorla Pizzuta di Avola o per Noto il Giardino di pietra.

   Al contrario c’è chi in Sicilia trova scandalo, come se non fosse mai stato visto anche nelle grandi metropoli e piccole città, che qui in Sicilia sconvolge la propria quiete vacanziera e si trasforma in pungolo giornalistico sprezzante verso i residenti, per gli abusivi e deprecabili ammassi di immondizia ai bordi delle strade fuori dai punti di raccolta. Allargando il Fisheye sui moderni Mecenati in bermuda, incontriamo locandieri Billionaire che per rendere la pizza culinaria elitaria alzano il prezzo e insultano i pizzaioli napoletani patrimonio dell’umanità.

   Ma la Sicilia è ben altra cosa per chi forse frequenta assiduamente gli ambienti “habitué maîtresse”. Con quattro soldi in più, pretende e vorrebbe, pagando lautamente il vicinato perché non osservi e non origli, cogliere amore in termini di affetto e di corrisposti amorosi sensi, dall’immobile ed estraneo atto reclamato ardente, ma che si vede costretto a consumare, nel chiuso recinto lunare, in totale solitudine, smanioso di risvegliare i sensi della pu**ana.

   Per chi da sempre vive pienamente l’immortalità della Sicilia, l’amara bellezza della nostra terra, ove il dolore è poesia, le lacrime rugiada, la gioia esplosione di luce solare, ed il silenzio omertà,  al contrario, rispettarla come madre amorevole, autorevole protettrice della famiglia e della casa, è doveroso. Da sempre vedova, insidiata dalle avidità e perversioni umane, specie di quanti suoi figli che non potendola possedere in un amplesso incestuoso, partecipato e ricambiato, l’apostrofano meretrice per il fatto che ostacola e resiste, sta mennula amara, ad ogni tentazione delle moderne tensioni, accattivanti e fuorvianti che la minacciano continuamente e ininterrottamente indotta a cedere agli ammalianti Jingle del brand di turno, a concedersi all’offerta di denaro e alle evolute cortesi lusinghe della modernità e sedicente alta cultura della bellezza smorfiosa.

   La Sicilia è madre, per quanto immutevole, attraente per le sue singolari bellezze umane, naturali e atmosferiche, è anche amara per le sue forme, generosa per gli abbondanti frutti e rigorosa per le sue tradizioni. La manifesta globalizzazione la vorrebbe distogliere dalla sua femminile natura isolana, ma il fuoco vulcanico che tutto fonde e tutto rimodula la riporta ai suoi valori di rigenerazione immortale, di fecondità e di accomodamenti lenti e impenetrabili. Gode delle schiumose carezze del frangersi dei flutti tonificanti il suo corpo e in codice criptato invia messaggi ai cuori roboanti del padre Etna e del germano Vulcano. Non è incestuosa come la si vorrebbe accusare, nutre i suoi figli e li educa al bello, all’utile, al piacere di vivere. Li alimenta con cibi sani non artefatti e soprattutto li veste di cotone e lino d’estate e di lana d’inverno.

All’umile persona, alle vergini e ai martiri concede la santità della povertà, e della misericordia, non agli amanti arroganti e delusi, ma alla devozione autentica e condivisa delle genti. Al contrario osserviamo strani assedi alle cose e alle menti, turbamenti e agitazioni di animi incoscienti e assimilazioni ai miti, saperi e conoscenze dell’umanità per barattare bambole con letti di ferro battuto ovvero usi e costumi culturalmente ponderati, ecosostenibili in cambio di effimeri momenti d’effetto luccicanti e di poco valore intrinseco e duraturo. Sicché dall’esaltante primavera fiorita ai variegati tessuti verdeggianti del territorio, al bagno nelle tiepide e limpide acque dello Ionio, rinfrescanti come le sere sui colli tra i pergolati di gelsomino e i virgulti della vite, all’abbronzatura sotto il solleone, il trentuno di agosto interpreta l’avvio dell’autunno ritrovando irrisolti tutti i problemi. Problemi volutamente trascurati per ovviare alle priorità che la calda estate con l’accoglienza e l’accresciuto numero di turisti ha correlato alle criticità a fronte delle attese velleitarie di progresso e tali da non far dispensare plausi alle reali responsabilità.

   Sicilia disillusa, confusa tra i miraggi, tra gli scranni, tra gli affollati protagonismi e silenziosi omaggi, ora fa riemergere dalle sue memorie un vecchio adagio un po’ canzoniero, oramai consumato dalle griffe distanziatrici tra i valori umani e i fittizi valori virtuali di avatar corrotti e illusori, … la picciotta a la matina quannu niesci ra la casa, papà la vasa comu puru la mamà… allu zitu ca l’aneddu ci’à puttatu, idda ci rici, chistu nun è oru, puortulu a to’ suoru, puortulu a to’ suoru!

                                                                Nuzzo Monello

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