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“Vuoto da colorare” di Nuzzo Monello

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“Vuoto da colorare” di Nuzzo Monello

VUOTO  DA

  COLORARE

di Nuzzo Monello

Quando tutto deve somigliarsi e uniformemente appiattirsi, finisce proprio per definizione a non avere alcun valore. L’effimero nell’arte o meglio le diverse ricerche espressive e le loro realizzazioni che sarebbe più appropriato chiamare installazioni, sono inerenti agli interessi delle piazze e ai brand del turismo. C’è molta voglia di turismo, una flebo risveglio, per agitare i mercati del “bello” artificiali e naturali. Proposte non molto ben definite, pur sempre valide per il transito di masse curiose, spesso disinteressate culturalmente, ma giovialmente sensibili al consumo enogastronomico, rinfreschi e drink leggermente alticci, di balli e canti e per concludere luminarie elettriche e fuochi d’artificio.

Il tutto infarcito dalla devota festa al Santo Patrono.

La Persona, il mare, la terra, l’aria e il fuoco, l’arte, la storia, la natura, le tradizioni, le architetture, l’archeologia, etc., etc., appartengono alla cultura e alle tradizioni degli abitatori dei luoghi e ne configurano la coscienza sociale, ove l’attività, la cura e l’edificazione del pensiero per gli intenti comuni, costituiscono l’essenzialità per lo sviluppo e il progresso della comunità. Alla luce dei nuovi omologanti stili di ricerca turistica globalizzante, la salvaguardia, la conservazione e la valorizzazione dei “Beni materiali e immateriali” delle aree definite siti Unesco, sembrano diventati i succedanei dei nostalgici circhi c.d. equestri per la “meraviglia” di bambini e di persone ignare.

Sembrano divertire, eppure sono svuotati di ogni fattispecie culturale di qualsivoglia identità di quel bene civile posto a criterio irrinunciabile di “Valore dell’Umanità”.

Si aggiungano i silenzi incomprensibili delle alte culture, dei pensatori, degli scrittori, degli scienziati, i rumori e le grida della mercificazione culturale e un po’ da una parte, e un po’ dall’altra, le mistificazioni e le false indicazioni dei valori che nel tempo la conoscenza e le sensibilità hanno consolidato in identità di popoli e nazioni.

Non vi è luogo e opere che non siano composte di piccole e impercettibili frazioni evolutive, di momento in momenti, che andrebbero approfondite e rivisitate per far sì che si possano ricostituire nel valore del Noi collettivo. Evoluzioni oggi occultate alla vista e alla comprensione per la grossolana e distratta visione del piacere personale estraneo all’unicum sociale, morale e civile. Oggi, come già negli anni ’80 del ‘900 mi vedo costretto a soffermarmi sull’erroneo “concetto di effimero, invalso e attribuito per moda anche all’Infiorata di via Nicolaci. Concetto avocato dalle misure di valorizzazione dei centri storici da alcune grandi città negli anni ’80 per incrementare o meglio attrarre il turismo. È il nuovo lessico preferito dagli operatori del settore, che purtroppo agivano e agiscono in assenza di un piano programmatico di accoglienza e di proposte per la valorizzazione dei diversi piani delle proprie identità”.

Non posso non rilevare, per sensibilità verso l’arte e la cultura in genere, e per gli aspetti psicologici, scientifici ed etimologici, che nella città di Noto l’idea di effimero, intesa come connotazione d’arte per la valorizzazione turistica, sia la peggiore catalogazione espressiva che si possa attuare.

1970- Christo a Milano imbusta statua di Leonardo da Vinci.

Non posso accettarne l’attribuzione di valore artistico, ma semplicemente la natura astratta di fluidità, del pensiero che viaggia in successione sulle parole senza fondamento d’identità, di sentimento, di proposito e di revisione della propria tradizione. E viaggia sui toni cromatici corrosi dal tempo, inerpicandosi sulle religiosità di tradizioni millenarie appropriandosi di un artificio di bellezza effimera.

Concettualmente tutto può definirsi effimero e nello stesso tempo escluderlo, poiché di momento in momento costituiamo il tempo, la memoria, il ricordo proiettandolo nel presente come dato di fatto, di provenienza, di essenza dell’uomo nella storia. Al contrario nella vita e nell’azione della persona, non può esistere l’effimero, ma il tempo vissuto quale costruttore di personalità identitarie e di valore.

Ed è inutile per l’arte ricercare un tempo iniziale nel quale collocarla e denotarla come arte effimera in sé, alla ricerca di un definito e determinato posto tra le infinite classificazioni che via via vorrebbero cristallizzare periodi culturali come quelli codificati per poeti, pittori, scultori, pensatori, filosofi o religioni.

L’Arte in sé è contemporanea in ogni tempo e in ogni luogo, e la sua durata è esprimibile dalla maturità manifesta. Sicché non tutte le artificiosità possono rientrare nel volgere dell’arte, se non riconosciute universalmente quale materializzazione di un sublime inconoscibile. L’uomo infatti non può eccepire il perché gli è stata data la vita, i motivi della sua nascita, il perché della sua forma, del suo spirito e del suo essere, se non ascoltando il “silenzio”. E per questo non può stimarsi più del suo creatore. Così la sua opera rimarrà incompleta ai suoi sensi e velata alla comprensione degli altri.

L’arte si pone su un piano di conoscenza diverso dall’evidenza razionale, realizza la capacità di dire ciò che diversamente non può essere detto in quel momento, in quella circostanza in quel contesto, ma piuttosto ricorrentemente decifrato nel “significato”. L’arte è esaltazione dell’artista che la pone nell’opera realizzata tra materia e spirito, tra bello ed opinione, tra povertà e ricchezza, tra coscienza ed essere, tra il tutto e il nulla.

Rito di Dissoluzione del Mandala

L’arte dunque non è emblema, attributo, allegoria, è significazione che consolida la spiritualità dell’anima prescindendo dal tempo che l’ha generata. È questo ciò che ci indica la religiosa attività di meditazione millenaria dei monaci tibetani, operata tra le molteplici differenziazioni, attraverso l’arte della costruzione rituale della perfezione Mandala, dove ogni momento, in quegli attimi di ricerca nella memoria del proprio vissuto, viene trasfigurato in granelli di sabbia di diverso colore per ridefinire il proprio presente. Il rito cerimoniale si conclude con la dissoluzione del Mandala, mescolando l’insieme delle sabbie colorate e distribuite ai presenti per rendere efficace nel dono di esse le loro pregresse esistenze e così produrre il beneficio rituale della meditazione che vuole ricordare la caducità della vita e il suo rinascere.

Altrettanto distorto è il voler datare, classificare come arte effimera la consuetudine delle popolazioni orientali di curare i luoghi delle dimore con la preparazione di giardini estetici denominati Giardino Zen, o peggio ricercare un motivo perché l’uomo osservi, curi e contempli la natura senza tener conto che anch’egli ne fa parte, e con essa in simbiosi non può esprimersi nella caducità o nell’effimero, ma narrare la storia e il divenire dell’umanità.

Forse, ora, può apparire più chiaro come il frainteso effimero forzatamente collocato nelle espressioni d’arte contemporanea, comprese le installazioni Land Art risalenti intorno al 1960, sia un atto plateale, primo ostacolo posto allo spirito umano per comprenderla. L’opera di Banksy – La bambina con il palloncino a forma di cuore rosso – pur essendo stata battuta all’asta e dichiaratamente “distrutta” all’assegnazione, ne ha comportato l’immortalità! Ciò non di meno non può farsi rientrare tra le arti Effimere, né al pari di un Mandala Tibetano.

Rito di Dissoluzione e distribuzione della miscela delle sabbie del Mandala.

Se poi vogliamo consapevolmente scivolare dall’arte al lavorio artificioso, vi possiamo trovare squadre e folle in tutto il mondo alla ricerca di un cartone senz’anima da copiare in formato multiplo, vuoto da colorare. Una tecnica operativa, già nociva nei processi di apprendimento nelle scuole e ancor di più se usata dagli adulti. Disabitua alla comprensione dell’arte e preclude all’arte l’ingresso dell’artista. Proprio perché, questo atto, si esprime in una identità mai avuta o posseduta, vive nello scimmiottamento dell’arte, in un annebbiamento dei valori esistenziali dell’uomo di cui il mondo è pieno.

Nuzzo Monello

  1. Sono pienamente d’accordo su tutto quanto letto e scritto dal libero studioso Nuzzo Monello.
    Per il secondo anno presento presso il suggestivo spazio architettonico nominato oggi Ex Caserma Cassonello, già Convento Sant’Antonio da Padova, risalente alla metà del 1.700, artist/ricercatori del linguaggio/i visivo/i, affermati ed emergenti, sia italiani che stranieri.
    Attualmente 36 artisti espongono 50 opere tra installazioni multimediali compressivi la sound art e short film, proiezioni formato Home Theater…
    Nessun budget ricevuto dal Comune, ma la collaborazione delle gallerie come Gianluca Collica and Partners, Fondazione Brodbeck; di Carmelo Graci Collection come degli artisti stessi.
    Per l’Arte condivisa c’è un’opera murale: Parole Parole Parole. Realizzata da Elena Mazzi con le ospiti dell’associazione Non Da Sola ed il Comune di Reggio Emilia hanno dato sostegno in donazione all’associazione appena nominata, generosi e cari professionisti amici (my husband and sisters Felicia, Gabriella, Silvana. Gli amici Cristina Vasta Grassi, Gaetana Gagliano,

  2. Nuzzo Monello says:

    Rosa Anna Musumeci scrive all’autore dell’articolo (*) e al Direttore di notomagazine.it (**)
    * Gentile Prof. Nuzzo Monello,
    Ho letto il suo articolo pubblicato su notomagazine e le faccio grandi complimenti! Il suo lungo “pezzo” e la sua circostanziata critica riguardo le scelte d’Arte e culturali diffuse sul territorio…
    che condivido appieno!!
    ** Sono pienamente d’accordo su tutto quanto letto e scritto dal libero studioso Nuzzo Monello.
    Per il secondo anno presento presso il suggestivo spazio
    architettonico nominato oggi Ex Caserma Cassonello, già Convento
    Sant’Antonio da Padova, risalente alla metà del 1.700,
    artist/ricercatori del linguaggio/i visivo/i, affermati ed emergenti, sia
    italiani che stranieri.
    Attualmente 36 artisti espongono 50 opere tra installazioni
    multimediali compressivi la sound art e short film, proiezioni formato
    Home Theater…
    Nessun budget ricevuto dal Comune, ma la collaborazione delle
    gallerie come Gianluca Collica and Partners, Fondazione Brodbeck;
    di Carmelo Graci Collection come degli artisti stessi.
    Per l’Arte condivisa c’è un’opera murale: Parole Parole Parole.
    Realizzata da Elena Mazzi con le ospiti dell’associazione Non Da
    Sola ed il Comune di Reggio Emilia hanno dato sostegno in
    donazione all’associazione appena nominata, generosi e cari
    professionisti amici (my husband and sisters Felicia, Gabriella,
    Silvana. Gli amici Cristina Vasta Grassi, Gaetana Gagliano,

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